Il green pass come obbligo vaccinale “di fatto” è illegittimo

La draconiana misura di Emmanuel Macron di imporre a tutti e per tutto il green pass inizia ad essere fonte di emulazione per altri governi europei cominciando, ovviamente, da quello italiano che sta valutando l’approvazione di una simile misura senza la quale sarebbe preclusa l’attività lavorativa, ricreativa, sportiva e di qualunque altro genere.

Sebbene il caso olandese recentemente assurto agli onori della cronaca dimostri ben oltre ogni ragionamento l’inutilità di una tale misura, e sebbene non si comprenda perché chi protesta contro una tale misura o solleva dei dubbi legittimi debba necessariamente essere etichettato come no-vax, essendo il vaccino e la sua certificazione due cose ben distinte, occorre effettuare alcune considerazioni sul merito della faccenda concretizzatasi nonostante gli avvisi precauzionali sollevati da chi scrive con ben otto mesi di anticipo proprio da queste colonne.

Posta la non obbligatorietà del vaccino anti-Covid sorge spontaneo chiedersi se l’imposizione del green pass costituisca una forma di obbligo vaccinale de facto. Se al quesito si risponde negativamente, non si comprende su che base poter imporre una simile forma di restrizione; se invece al quesito si risponde positivamente, sembrano sorgere più problemi (soprattutto giuridici) di quanti si intenderebbe risolvere.

In primo luogo: sebbene possa apparire soltanto una questione teorica, la differenza tra obbligo di fatto e obbligo di diritto, così astratta non è, in quanto il fatto non è detto che sia legittimo, mentre il diritto – anche in virtù dei controlli anteriori e posteriori all’emanazione di una legge – lo è sempre e comunque.

In secondo luogo: l’obbligo di fatto introdotto tramite il green pass è un modo istituzionalmente scorretto per indurre la popolazione a vaccinarsi senza le cautele giuridiche opportune che sono necessarie in uno Stato di diritto in genere e come previste dalla nostra Costituzione in particolare. L’articolo 32 della nostra Carta fondamentale, infatti, sancisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, chiarendo in modo inequivoco, anche come più volte ha ribadito nel corso del tempo la Corte costituzionale, che soltanto per legge, per legge dello Stato, si può imporre un trattamento sanitario obbligatorio alla popolazione.

La legge o il decreto-legge che dovessero approvare il green pass, dunque, non sarebbero sufficienti, poiché la Costituzione è letteralmente chiara stabilendo che il trattamento sanitario in quanto tale – cioè la inoculazione del vaccino – deve essere imposto per legge e non tramite la sua surrettizia certificazione che è e rimane cosa distinta e distante.

In terzo luogo: l’obbligo vaccinale di fatto, a differenza di quello di diritto, peraltro non tutela compiutamente e giuridicamente la popolazione poiché non si prevede alcun indennizzo per gli eventuali effetti collaterali legati alla inoculazione del vaccino medesimo. Insomma, l’obbligo vaccinale di fatto introdotto con il green pass creerebbe un “dovere” sul cittadino senza assicurargli la tutela effettiva dei suoi diritti e senza che a tal dovere faccia da corrispettivo una equa responsabilità morale, giuridica ed economica delle istituzioni che lo intendono sanzionare.

Del resto proprio la Corte costituzionale, di recente, nel bel mezzo della crisi pandemica del 2020, ha statuito, con la sentenza 118/2020, che l’indennizzo per effetti collaterali deve necessariamente estendersi anche ai vaccini soltanto consigliati (come per ora sono quelli anti-Covid) purché, oltre l’ovvio effetto causale tra inoculazione e danno all’integrità psico-fisica, sussista un affidamento del paziente in base a una campagna pubblica di vaccinazione (requisito evidentemente presente nel caso della vaccinazione anti-Covid, specialmente se indotto dal green pass).

In quarto luogo: non si comprende perché le eventuali sanzioni debbano essere necessariamente negative e tali da comprimere altri diritti fondamentali come quello di circolazione, lavoro, istruzione, insegnamento o culto. L’ordinamento, infatti, conosce anche le sanzioni positive o gli incentivi (si pensi per esempio a quelli di carattere processuale o al sistema dei benefici nel regime penitenziario) che possono consentire di ottenere l’effetto senza pregiudicare altri diritti fondamentali. In questo senso si pensi, per esempio, a somme di danaro per i più giovani, o a giorni di ferie retribuiti, o sgravi fiscali o a sistemi di precedenza negli uffici e nelle pratiche amministrative. Tali soluzioni garantirebbero per un verso l’aumento delle somministrazioni vaccinali, senza sacrificare, per altro verso, altrettanti diritti fondamentali di pari grado gerarchico a quello della salute individuale e collettiva che la Costituzione riconosce e tutela. Il diritto, infatti, non può essere determinato dalle risultanze (precarie) della scienza o dalle mutabili decisioni politiche poiché, se non vuole rinunciare alla propria natura, deve essere giusto e quindi riconoscere sempre a ciascuno il suo.

In conclusione: il green pass occorre che sia attentamente disciplinato per evitare di creare storture giuridiche e violazioni dei diritti umani fondamentali; l’obbligo vaccinale può essere soltanto ex lege a ciò espressamente diretta; occorre sempre ricordare che il diritto è superiore al fatto, essendo infatti questo secondo disciplinato dal primo e non il contrario secondo l’antica sapienza classica per la quale da mihi factum dabo tibi ius.

Aggiornato il 19 luglio 2021 alle ore 09:59