Al G20 di Venezia appena concluso si è discusso di un tema centrale per il futuro di popoli e Stati, eppure ripreso solo di passata dal mainstream mediatico: s’è parlato di Governo globale e s’è iniziata la sua pianificazione.
Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale della Organizzazione per il commercio internazionale, Tharman Shanmugaratnam, ex ministro delle Finanze di Singapore e Larry Summers, ex ministro del Tesoro degli Stati Uniti, hanno presentato un documento illustrativo dell’architettura del Governo globale su finanza e salute pubblica da realizzare nei prossimi mesi. Il progetto prevede il rafforzamento dei poteri della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, così da farli diventare veri e propri centri di comando a livello planetario.
Non è ancora una nuova Bretton Woods, ma il solco è ormai tracciato: consacrare in un accordo internazionale la gestione globale dei settori, appunto, della finanza e della salute poiché strategici per lo sviluppo o la recessione globale.
Questo abbinamento non deve stupire, almeno nella logica globalista e i motivi non sono difficili da individuare.
La finanza muove trilioni e trilioni di dollari in un nano secondo. Questo fiume di denaro – o di elementi che in qualche modo lo rappresentano – non ha né territorio, né Stato di appartenenza. Su di esso la sovranità dei “vecchi” Stati, per come storicamente conosciuta, non ha più nessuna presa, non può più nulla. È un fiume carsico, lo scorrimento della cui acqua è regolata da mani apparentemente invisibili.
Questa massa gigantesca di ricchezza, però, non è virtuale, non sta solo dietro o dentro un computer. È ricchezza reale, pronta ad essere destinata ad economie ugualmente reali di uno Stato o di un Continente, piuttosto che di altri, di un settore merceologico piuttosto che di un altro, di un debito pubblico piuttosto che di un altro.
Oggi la finanza non incontra regole sufficientemente penetranti dettate da autorità sovranazionali o nazionali. Anche per questi motivi si è fatta essa stessa “Stato” e come tutti gli Stati ha anch’esso un esercito pronto ad entrare in azione. Certo, un esercito che maneggia armi non convenzionali, armi che si muovono nella rete, senza fare rumore, ma che di certo non sono meno distruttive delle “vecchie” bombe e dei “vecchi” carrarmati.
La necessità di avere regole comuni alle quali riportare la finanza, dunque, è ormai impellente. Le crisi del 2008, del 2012 e l’attuale dimostrano l’assoluta necessità di introdurre paletti entro i quali riportare la governance finanziaria.
La salute pubblica è l’altra faccia della globalizzazione e dello sfarinamento della sovranità degli Stati. Quello che si teme, o che i “20” riuniti a Venezia danno ormai per certo, è che altre pandemie seguiranno a quella in corso. Pandemie sempre più violente e sempre più planetarie, che i singoli Stati non saranno in grado di gestire in autonomia, sia nelle fasi di prevenzione e contenimento, sia e soprattutto nella fase della cura.
Come il ruzzolio dei soldi può essere frenato solo con misure globali, così il ruzzolio dei virus può essere fermato solo con vaccini globali.
Io non so dire se il Governo globale immaginato a Venezia sia un bene o un male, se dietro di esso vi siano interessi inconfessabili, non so dire chi ci guadagnerà e chi ci perderà, e neppure se sia uno strumento davvero efficace, in grado di guidare le dinamiche della finanza o arginare i cicli delle malattie.
Per ora ho una doppia, simmetrica certezza: che il Governo globale ci sarà e che esso si tradurrà in una costruzione di pura ingegneria istituzionale, lontana dai popoli, con tratti democratici solo apparenti.
George Orwell aveva visto lontano, molto lontano. La speranza è che abbia sbagliato il finale dei suoi romanzi. Già, romanzi?
Aggiornato il 13 luglio 2021 alle ore 13:11