Israele e Hamas nel mirino del Popolo di Abramo

Israele “tu sei infatti un popolo consacrato a Yhwh tuo Dio” (Deuteronomio 14.2) e Terra promessa, che è parte del patto fatto con Abramo, Giacobbe e Israele. La tradizione ebraica (in particolare il Likud) considera questa promessa valida per tutti gli Ebrei, compresi i discendenti dei convertiti, senza considerare che per contro tutte e tre le religioni Abramitiche discendono dai due figli di Abramo: Ismaele e Isacco! Malgrado, infatti, anche Israele insista per il rispetto delle Libertà fondamentali tra cui quella religiosa, questa interpretazione restrittiva della Torà è al centro dei contrasti tra Hamas e le Forze armate Israeliane, proponendo per la prima volta dalla nascita di Israele (1948), una evidente Intifada, che sino ad oggi si era manifestata solo nei territori occupati, organizzata dal 20 per cento della popolazione musulmana (Sunnita) Israeliana: anche loro di discendenza abramitica!

Questa specifica Intifada, dettaglio che a prima vista va ad interessare solo la comunità sociale israeliana, è per contro di rilevante importanza ai fini di una migliore comprensione di ciò che potrà accadere, non solo in Palestina ma addirittura in tutta l’area geopolitica, meglio conosciuta come Mediterraneo Allargato; che per i popoli di tradizione islamica prende il nome di “Area dei Cinque Mari. Questa definizione fu infatti coniata dal presidente siriano, Bashar al-Assad nel 2006, a seguito dell’iniziale ma pesante ritiro delle unità della VI Flotta statunitense dal Mediterraneo.

Incentrata su un Sistema regionale degli Stati che si affacciano su Mar Mediterraneo, Mar Rosso, Mar Caspio, Mar Nero e il Mar del Golfo Arabico, l’Area dei Cinque Mari non voleva rappresentare altro che una forma di coordinamento strategico tra Russia, Iran, Turchia, Egitto e Arabia Saudita, con russi e iraniani quali elementi di pressione esterni alle realtà locali dei singoli Stati. Questo progetto siriano, purtroppo, non fu mai seriamente preso in considerazione. Inoltre, anche a seguito del famoso discorso del presidente Barack Obama al Cairo, nel 2009, l’esistenza dei “Fratelli Musulmani” (Salafiti sunniti con sponsor il Qatar) si materializzò concretamente con le derive disastrose che emersero nel corso della Rivoluzione della Dignità in tutti gli Stati di religione Musulmana del fronte sud del Mediterraneo e in Medio Oriente.

Le prime vittime del radicalismo salafita furono la Tunisia, l’Egitto e la Libia del dopo Muammar Gheddafi (uccisione dell’Ambasciatore Usa a Bengasi), per finire nel 2012 con il pieno coinvolgimento dei Fratelli Musulmani deviati in Siria, dove l’ambigua Coalizione nazionale siriana (Cns, con sede in Qatar) si rese evidente nel nord, al confine con la Turchia e l’Iraq, con un contingente sunnita siriano (fuoriusciti dell’esercito di al-Assad) supportato logisticamente dal Qatar e dalla Turchia, cui si aggiunsero le forze di Al Qaeda in fuga dall’Iraq e gruppi si salafiti sunniti provenienti principalmente da Arabia Saudita, Tunisia, Libia e terroristi di molte altre nazioni. Il tutto convogliò quindi nel famigerato Stato Islamico (Isis).

Nella sostanza, il fallimento della politica estera degli Stati Uniti, in mancanza di un coordinamento strategico alternativo agli Usa (il “cinque mari”), fu la causa principale dell’esacerbata radicalizzazione del fanatismo islamico, che ancora presenti in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e in Yemen dove prese il sopravvento lo scontro dogmatico tra la radicalizzazione dell’influenza salafita wahabita saudita e il salafismo sciita di natura iraniana. Guardando al presente, però, è doveroso accennare al formale riavvicinamento delle diplomazie saudita e iraniana, avvenuto sì dopo la riammissione del Qatar (Stato sponsor dei Fratelli musulmani sunniti) agli Stati del Golfo, ma solo dopo la vista di Papa Francesco in quell’Iraq di fede sciita, tanto vicino all’Iran e alla sua politica di potenza regionale.

Papa Francesco in tutto questo sembra nascere come un fungo in terra arida. In effetti trova immediata spiegazione perché Francesco si è rivelato quale il miglior costruttore di sempre della pace e del dialogo “interreligioso” in terre dove, grazie soprattutto al sodalizio sulla “fratellanza tra i popoli” firmato con il Grande Imam Al Tayyeb di al-Azar, negli Emirati il 4 febbraio di quell’anno la diversità religiosa sta finalmente entrando a far parte del concetto di libertà di culto del singolo cittadino. La firma di quel documento, infatti segnò l’inizio di un percorso comune tra l’Islam e il Cristianesimo, incentrato su queste parole: “La libertà è un diritto di ogni persona e ogni cittadino gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione!”. Proprio all’insegna di questo nuovo approccio religioso alla cittadinanza, nell’ultima visita in Iraq, a marzo scorso, Francesco ha voluto un incontro privato con il Grande Ayatollah Ali al-Husayni al-Sistani. Imam sciita conosciutissimo per la sua determinata posizione di non ingerenza della religione negli aspetti politici nazionali e importante punto di coniugazione con lo sciismo iraniano. Poco si conosce del colloquio tra i due, se non che un pensiero dominante li ha accomunati: la “fraternità è più forte del fratricidio”. Pensiero che è rimbalzato fragorosamente in Iran e i cui frutti, a livello di conoscenza popolare, li vedremo tra qualche anno. Ben diverso è il risultato nei rapporti diplomatici già in corso d’opera tra l’Iran e l’Arabia Saudita, che invitano a restare ancorati ai valori della pace basati sulla reciproca conoscenza e rispetto della fratellanza umana e della convivenza comune.

Come risultato immediato, il principe saudita ereditario Salman ha aperto alla normalizzazione delle sue relazioni con l’Iran e la Siria. Mentre in Mediterraneo la Turchia, la cui presenza in Libia solleva importanti questioni internazionali e regionali, si sta muovendo per normalizzare le relazioni con l'Egitto. Ma allora perché tanto silenzio da parte della stragrande maggioranza delle ex grandi potenze (Usa, Russia, Ue: Francia, Germania e Inghilterra) sullo scontro Israele-Hamas?! Sono i cosiddetti “accordi di Abramo” del 2019 al centro delle turbolenze in atto tra Hamas e Israele. Scenario al quale non sono estranei Turchia e Qatar, dalla parte del salafismo dei Fratelli Musulmani, cui si contrappose il blocco arabo-sunnita, molto più interessato ad una nuova stagione di relazioni con gli israeliani in chiave anti-iraniana e di contenimento all’espansionismo ottomano”. In particolare, focalizzato sulle spropositate dichiarazioni libico-turche sulle Zee in Mediterraneo.

Speriamo, dunque, che anche per questo ultimo conflitto, purtroppo ancora in atto, prevalgano alla lotta fratricida i Doveri di Cittadinanza della Fratellanza Umana a firma Francesco-Al Tayyeb!

Aggiornato il 18 maggio 2021 alle ore 09:17