“Corruptissima re publica plurimae leges” scriveva Tacito nei suoi “Annali”, chiarendo come la moltiplicazione delle leggi non assicura la qualità di un sistema politico o giuridico. Anzi, spesso la pregiudica. Se questo vale in genere, a maggior ragione vale nell’ambito penalistico, contro cui ciclicamente cadono nel vuoto gli appelli degli studiosi rivolti in direzione di una armonizzazione, di una sistematizzazione e, perfino, di una depenalizzazione che il legislatore non riesce mai a compiere in modo adeguato. Che il sistema penale, come sarebbe pleonastico dimostrare, sia in crisi da decenni, anche a causa dell’iper-penalizzazione, è cosa fin troppo nota, ma che la genuinità del diritto e la stessa natura dell’ordinamento giuridico possano essere contagiati dalla crisi del sistema penale è cosa quasi inedita e che negli ultimi tempi sta evidenziandosi con maggior chiarezza.
In questo senso, cioè nella direzione della decadenza della natura del diritto in genere e di quella del diritto penale in particolare, si muove il Ddl Zan che è passibile di critica, almeno sotto cinque punti distinti. Rinviando gli opportuni approfondimenti al volume di recente pubblicazione per i tipi di Cantagalli, curato dal magistrato di Cassazione, Alfredo Mantovano e dal Centro studi Livatino (“Legge omofobia, perché non va - La proposta Zan esaminata articolo per articolo”) in cui diversi giuristi esaminano dettagliatamente tutti i singoli articoli del Ddl Zan alla luce della più rigorosa critica della ragion giuridica, in questa sede si possono affrontare soltanto cinque motivi per cui, in punto di diritto, non si può che essere contrari al Ddl Zan.
In primo luogo: il Ddl Zan si fonda su una equivoca concezione della funzione del diritto penale, teso com’è a disciplinare i pensieri e le coscienze di coloro che vengono ritenuti omofobi. Il diritto in genere, e quello penale in particolare, tuttavia, non si possono che occupare della mera azione del soggetto e non già della correzione dei suoi sentimenti e pensieri, per quanto turpi. Così che, sebbene possa apparire strano, il pensiero razzista o omofobo non può essere punito solo in quanto tale, senza che si traduca in qualche atto compitamente e materialmente antigiuridico. In questo senso, peraltro, è sempre difficile comprendere come inquadrare normativamente un atteggiamento o un pensiero omofobo, rispettando i principi generali del diritto penale come il principio di legalità, il principio di materialità, il principio di tassatività, di cui proprio il Ddl Zan appare esplicita violazione.
In secondo luogo: proprio in virtù di ciò, non si può fare a meno di notare che le norme punitive esistono già e che, dunque, non si necessita di creare una nuova fattispecie criminosa non più di quanto lo necessiti il geronticidio, nonostante i molteplici casi di violenze ai danni degli anziani di cui quotidianamente è piena la cronaca nera.
In terzo luogo: tanto è inconsistente la pretesa incriminatoria del Ddl Zan che lo stesso si premura, nel suo primo articolo, di fornire delle definizioni artificiali e artificiose – quali sono quella di sesso, di genere, di orientamento sessuale, di identità di genere – sui cui costruire in modo autoreferenziale il resto della disciplina punitiva che intende introdurre. Non si comprende, tuttavia, perché ci si limiti a queste definizioni e non ad altre, quali criteri siano stati scelti per optare per tali definizioni, perché chi non dovesse riconoscersi in tali definizioni possa essere accusato di essere omofobo. Insomma, la griglia definitoria su cui si regge l’intero Ddl Zan sembra fuori non soltanto dalla natura, poiché l’inderogabile legge biologica sancisce la dualità della dimensione sessuata dell’essere umano secondo la dicotomia maschile e femminile, ma anche fuori dalla realtà, poiché tenta di introdurre delle definizioni che reali non sono, proprio in quanto non coincidenti con la naturale dicotomia di cui sopra.
In quarto luogo: l’ampia vaghezza della perimetrazione del crimine, che intende perseguire il Ddl Zan, introduce inevitabilmente un corrispettivo ampio margine discrezionale dell’interprete, cioè del giudice, violando quei principi generali dell’ordinamento in genere e di quello penale in particolare, su cui si disegna la linea distintiva tra giudizio e arbitrio, tra Stato totalitario e Stato di diritto, tra diritto della forza e forza del diritto. In questo senso, si aprono numerosi dubbi di costituzionalità già prima che il Ddl Zan possa essere approvato in via definitiva, come l’eventuale violazione degli articoli 24, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione in tema di diritto di difesa, principio di legalità, presunzione di non colpevolezza e responsabilità personale, soggezione del giudice alla legge, nonché giusto processo.
In quinto luogo: il profilo che, tuttavia, suscita maggiori preoccupazioni, è l’ultimo, cioè la possibilità concreta – e non la mera probabilità – che il Ddl Zan si risolva per essere una forma di limitazione potente e prepotente della libertà di pensiero e di coscienza di tutti coloro che per convinzione personale, per il proprio credo religioso, per la propria prospettiva filosofica ed etica, non ritengono che ci possa essere una distinzione tra sesso e genere. O che la famiglia naturale – ex articolo 29 della Costituzione – sia tale in quanto fondata sulla dicotomia naturale maschile e femminile, o che la maternità surrogata sia e debba rimanere un grave reato poiché lesiva della dignità del medico, della donna, e del nascituro. Chi o cosa, infatti, potrebbe evitare di qualificare come omofobo, proprio alla luce del dato normativo che il pernicioso Ddl Zan tenta di introdurre, chi si opponesse alla maternità surrogata o chi ritenesse che, salvi i diritti individuali e intangibili di ciascuno, non esiste e non può esistere un diritto alla famiglia (come quello che spesso viene rivendicato dalle coppie del medesimo sesso) e nemmeno un diritto al figlio?
Il Ddl Zan, insomma, è come quei lupi travestiti da agnelli che, proponendosi come salvatori del mondo, proprio il mondo finiscono per divorare. Poiché, come la storia insegna, ogni utopia – quindi anche quella di carattere sessualistico (non a caso Franco Grillini parla di “rivoluzione sentimentale”) al cui sviluppo stiamo assistendo fino alla corazzatura normativa e penalistica della stessa – finisce prima o poi per rivelare che, sotto il candido e seducente pudore delle proprie sembianze, si cela sempre il terrificante e oppressivo volto della tirannia.
In conclusione, finché si è in tempo, cioè prima che venga approvato il Ddl Zan, proprio da parte di chi ha a cuore la libertà nel suo significato più autentico e profondo, bisognerebbe più che mai tenere a mente le parole di Jean-Luc Domenach secondo il quale “l’intrusione dell’utopia nella politica ha coinciso perfettamente con quella del terrore poliziesco nella società”.
Aggiornato il 14 aprile 2021 alle ore 09:18