Un divano per Ursula

Sulla seduta riservata dal presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è scatenato un putiferio.

La circostanza che sia stata fatta accomodare su un divano e per di più in posizione laterale, anziché su una sedia a fianco del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dello stesso presidente turco, è stata giudicata dal mainstream mediatico un gesto gravemente discriminatorio verso il genere femminile.

È bene essere chiari ancor prima di scendere in considerazioni più specifiche: qualsiasi comportamento discriminatorio verso le donne merita condanna, come merita condanna qualsiasi forma di discriminazione fondata sul colore della pelle, sulla religione, sull’orientamento sessuale, sull’appartenenza etnica e via dicendo. Si ripete: nessun motivo può essere considerato sufficiente per giustificare la misoginia, così come la xenofobia, l’omofobia o altre forme di emarginazione, ghettizzazione, isolamento, penalizzazione.

Detto questo, si tratta di capire se il comportamento di Ankara sia stato ispirato da volontà discriminatoria, oppure sia stato dettato dalle regole del cerimoniale di Stato, valevoli a livello internazionale.

Facciamo un passo alla volta. Le visite di Stato, come quella della delegazione dell’Unione in Turchia, seguono rigidi protocolli. Quando un presidente della Repubblica riceve in visita ufficiale un omologo di altro Stato, oppure altre personalità pubbliche, non è come se ricevesse in casa propria dei buoni amici. L’ospite non può farli accomodare nel tinello o in giardino e neppure farli sedere a piacimento suo o loro. Le cose non funzionano così, ma sono regolate, appunto, dal “cerimoniale”, che è un insieme di norme adottate con legge da ogni Stato sulla base delle consuetudini anche internazionali. Ed è ad esse che l’organizzazione del ricevimento si deve conformare.

Facciamo un altro passo. I cerimoniali disciplinano, tra le altre cose, un “ordine delle precedenze delle cariche pubbliche”, ossia stabiliscono come e dove si devono disporre i rappresentanti dei vari organi degli Stati riuniti ufficialmente. Gli “ordini”, a loro volta, si distinguono in gradi e così, al primo, i cerimoniali collocano il presidente della Repubblica ospitante e quello ospitato, al secondo i primi ministri e poi, giù-giù, i ministri, i sottosegretari, i magistrati e via via.

Terzo passo. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (articolo 15) conferisce al presidente del Consiglio dell’Unione stessa la “rappresentanza esterna dell’Ue a livello di capi di Stato o di governo nei vertici internazionali”. Al presidente della Commissione, invece, non dà la rappresentanza. Solo il presidente del Consiglio, pertanto, può essere considerato alla stregua di un presidente della Repubblica.

Ora, che la Turchia stia adottando politiche riduttive dei diritti civili e delle libertà, ad iniziare da quelle delle donne, è un dato di fatto da condannare senza “se” e senza “ma”. Per rendersene conto basta pensare alla sua uscita dalla “Convenzione internazionale sui diritti delle donne”.

Nel caso di cui si parla, però, siamo sicuri che la scelta di far sedere von der Leyen in “seconda fila” sia stata dettata dalla sua appartenenza di genere, o non piuttosto dalla funzione ricoperta, dato che la rappresentanza dell’Unione, in quella sala, era ritualmente officiata dal suo presidente del Consiglio?

La storia, per ora, non consente di verificare cosa sarebbe accaduto se Ursula von der Leyen – o un’altra donna – fosse stata presidente del Consiglio europeo, anziché della Commissione. Ma prima o poi la storia ce lo concederà e quel giorno, allora, vigileremo da fieri guardiani delle libertà e delle uguaglianze sull’applicazione del cerimoniale. Non ammetteremo cambi di regole! Per nessuna ragione al mondo.

Aggiornato il 08 aprile 2021 alle ore 09:20