Centrodestra: partire dalla cultura

Il direttore di questo giornale, Andrea Mancia, ha aperto un dibattito sul centrodestra che ha suscitato interventi di Alessandro Giovannini, Cristofaro Sola e Claudio Romiti e che credo meriti una continuazione ed un allargamento.

Su alcuni punti centrali credo che si sia tutti d’accordo: il centrodestra deve trovare “una forte coesione politica” tra i partiti che lo compongono, lavorare ad una armonizzazione tra liberali e conservatori, elaborare una strategia ed un programma di governo “convincente e condiviso” sulle maggiori questioni sul tappeto. In breve, deve elaborare un riformismo liberal-conservatore e deve al tempo stesso selezionare una classe dirigente adeguata per il futuro.

Voglio qui sostenere la necessità e la centralità – a questi fini – di una politica culturale finora mancata al centrodestra. Ciò significa anche una politica di mobilitazione, aggregazione e promozione degli intellettuali liberali e conservatori di vari livelli (grandi e piccoli). Questi ultimi sono oggi sparsi ed isolati e, nella migliore delle ipotesi, organizzati in piccoli gruppi scollegati che a stento riescono a fare sentire la loro voce al grande pubblico. Bisogna fare sì che questi intellettuali (e i loro raggruppamenti) non si sentano più isolati, bensì parte di un vasto movimento ideale, che abbia anche la forza politica di incidere sulla realtà e di fornire loro una voce e un ruolo più incisivo nell’agorà mediatica.

A tale fine occorre una mobilitazione che produca una convergenza tra le forze intellettuali liberal-conservatrici sparse (scrittori, filosofi, professori di vari livelli, giornalisti, insegnanti, magistrati) con l’obbiettivo generale di lungo periodo di riconquistare “le fortezze e la casematte” (scuola, Università, mass media, case editrici, magistratura) dove permane l’egemonia gramsciana della sinistra. Credo che Mancia colga nel segno quando indica come punto di ripartenza la realtà di “quei cittadini – maggioranza strutturale nel nostro Paese – che si oppongono (spesso in modo istintivo e quasi pre-politico) alle follie multikulti e politicamente corrette” e quando auspica una “elaborazione culturale e della comunicazione” alternativa a quella della sinistra ed in grado di destabilizzare la sua egemonia culturale.

Credo infatti che gran parte dei successi delle forze conservatrici in vari Paesi occidentali negli anni scorsi (compresi quelli della Lega e di Fratelli d’Italia nella Penisola) siano ascrivibili in buona parte ad una reazione conservatrice dell’uomo comune agli eccessi, alle contraddizioni e alle follie (spesso anche ridicole) delle élite del globalismo multiculturale politicamente corretto.

Una guerra culturale maggiore è in corso sia al livello mondiale, sia a livello locale, tra nemici della civiltà occidentale cristiana e liberale da una parte e suoi difensori dall’altra. Una difesa attiva della civiltà occidentale non può che vedere uniti conservatori e liberali, perché essa subisce da tempo l’offensiva dei chierici del globalismo culturale politicamente corretto, che lavorano all’eliminazione dei liberali e conservatori dallo spazio pubblico, oltre che allo sradicamento della cultura occidentale dalle sue radici cristiane e liberali ed alla sua dissoluzione in un indistinto multiculturale senza radici né identità.

Le contraddizioni, le follie e l’aggressività inquisitoria di quei chierici del politicamente corretto colpiscono interessi e sentimenti diffusi nel grande pubblico, aprono spazi enormi ad una controffensiva liberal-conservatrice e anche falle vistose, nelle stesse forze di sinistra e nel loro elettorato. Attualmente la spinta conservatrice sembra esaurita e le forze politiche del centrodestra, attestate su una linea difensiva e conservatrice, non hanno saputo o potuto approfittare pienamente di quelle debolezze della sinistra perché non hanno saputo esprimere in positivo una chiara cultura liberal-conservatrice.

Non hanno potuto perciò aggiungere alla loro reazione difensiva, un’iniziativa ed un’offensiva liberale moderata e riformista, per la quale era necessaria un’elaborazione culturale in positivo che non c’è stata. Non hanno saputo, per esempio, contrapporre all’europeismo retorico e di facciata (perché culturalmente anti-europeo ed anti-occidentale) della sinistra un europeismo liberal-conservatore, che rivalutasse con orgoglio la cultura europea e che si ponesse anche l’obbiettivo di una riforma delle istituzioni dell’Ue.

Allo statalismo assistenzialista della sinistra non si è finora contrapposta una chiara linea di politica economica e finanziaria liberale equilibrata che contemperasse l’esigenza di un rilancio dell’economia di mercato con le esigenze sociali di difesa dei più deboli e con i vincoli di bilancio posti dal pesantissimo debito pubblico. Alla folle linea catto-progressista dell’accoglienza illimitata ed indiscriminata non si è saputo contrapporre una linea politica ragionevole di governo dell’immigrazione, dove non basta una linea di fermezza e di mera opposizione, come il “no” all’immigrazione tout court.

Nonostante la grande occasione fornita dal caso Luca Palamara, le forze di centrodestra non hanno saputo o potuto contrapporre alla linea della sinistra giustizialista di collateralismo, rispetto allo strapotere delle correnti della magistratura organizzata una linea ed un’azione di riforma della giustizia, capace di mobilitare e organizzare i giuristi liberali ed il gran numero di magistrati lealisti e garantisti. Non hanno infine saputo costruire una linea liberale e moderata sulle questioni ecologiche, contrapposta a quella catastrofista e anticapitalista dell’ecologismo mainstream stregato da Greta Thunberg. Le forze di centrodestra non hanno saputo o potuto fare tutto questo perché non hanno avuto una vera iniziativa politico-culturale che non fosse puramente difensiva.

Non penso ad un’iniziativa illuminista, né quindi alla promozione di convegni, o di libri o di nuove riviste culturali. Sono strumenti che possono essere utili e necessari, ma non sono sufficienti. Penso ad una serie di campagne multimediali politico-culturali di un certo respiro, nel fuoco delle quali vi sia un’elaborazione culturale e politica collegata ad obiettivi concreti di riforme in senso liberal-conservatore. Il target di queste campagne dovrebbe essere, oltre che il grande pubblico, soprattutto quella vasta area di intellettuali (grandi e piccoli) “neutrali” o delusi dalle politiche anche culturali della sinistra. È nel fuoco di queste campagne che possono tra l’altro trovare una tendenziale soluzione i problemi posti da Alessandro Giovannini (il conflitto a destra tra statalismo e democrazia liberale); da Claudio Romiti (conflitto tra rilancio dell’economia di mercato riducendo le tasse e i vincoli posti dalla eccessiva spesa pubblica) e da Cristofaro Sola (la costruzione di un europeismo liberale alternativo al superstato burocratico e costruttivista dell’attuale Ue).

Così pure in quel fuoco polemico possono mobilitarsi forze intellettuali e politiche interessate ad una riforma dello Stato e della giustizia, oltre che alla elaborazione di una chiara politica di centrodestra sull’ambiente. A tale fine credo che sia necessaria un’iniziativa, che potrebbe partire dagli stessi intellettuali oltre che dai politici di centrodestra più sensibili. Più che creare nuove voci isolate e moltiplicarle, in un primo momento potrebbe risultare più vantaggioso collegare le forze esistenti.

Mi chiedo in particolare cosa possa fare “Destra liberale” (e L’Opinione) per promuovere un collegamento ed una aggregazione fra le forze intellettuali liberali e conservatrici, ora sparse e isolate nel rispetto della autonomia di ciascuna di esse.

Aggiornato il 08 aprile 2021 alle ore 09:08