Le mascherine come simbolo di oppressione

Giovedì scorso, mentre stavo per iniziare a correre con una mia congiunta in un luogo di campagna sempre piuttosto isolato, mi è accaduto l’ennesimo episodio di ordinaria follia sanitaria. Una donna che portava a spasso un cane, qualificatasi come madre di un avvocato, mi ha ripetutamente urlato di indossare la mascherina ad una distanza di almeno 50 metri. Si è trattata di una vera e propria aggressione verbale del tutto immotivata, visto che in un’area di almeno 5/6 campi di calcio le persone presenti si contavano sulle dita di una mano, tanto da consentire a questa improvvisata sceriffa di tenersi tranquillamente a distanza di sicurezza. Ma ciò segnala, per l’ennesima volta, un clima di follia di cui portano la maggiore responsabilità gli artefici politici di tante, troppe disposizioni demenziali, con le quali si stanno conculcando da un anno le nostre principali libertà costituzionali.

Tant’è, a riprova di ciò, che dopo aver civilmente fatto presente alla furibonda pasionaria della mascherina che per chi sta praticando l’attività podistica, così come qualunque altra attività sportiva, non sussiste tale obbligo, costei ha risposto con la bava alla bocca che in quel momento non stavo affatto correndo (per la cronaca ero intento ad eseguire alcuni classici esercizi di allungamento, come da prassi per i podisti di lungo corso). Dunque, avendo bevuto fino in fondo la pozione demenziale sull’obbligo delle mascherine all’aperto, che pure l’attuale Governo ha mantenuto, seppur con una definizione apparentemente più blanda,  la mia forsennata interlocutrice si deve essere convinta di una cosa stupefacente, almeno per noi comuni mortali che crediamo ancora nella logica: quando si corre, il rischio per sé e per gli altri non sussiste, mentre se ci si ferma anche solo per riprendere fiato, allora il sempre più temuto Coronavirus si trasforma in un una sorta di inesorabile raggio della morte, fulminando chiunque ci si dovesse imbattere.

D’altro canto, nel momento in cui si elaborano divieti così contraddittori da sconfinare ampiamente nel territorio dell’idiozia, inducendo una massa di sprovveduti in balia del terror-panico ad accettarli senza alcuna critica, non possiamo prendercela con chi, come la donna summenzionata, cade preda di una grave forma di isteria sanitaria, bensì con chi tale isteria ha contributo a creare, imponendo tutta una serie di misure inutili, dannose e socialmente distruttive. In tal senso, è sufficiente riportare un passaggio chiave, relativo all’uso delle mascherine all’aperto, contenuto nel Dpcm – a firma di Mario Draghi – del 3 marzo scorso, per farsene una idea piuttosto chiara: “Non vi è obbligo di indossare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie quando, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantito in modo continuativo l’isolamento da persone non conviventi”. Allo stesso modo, non le debbono indossare “i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva”.

La traduzione di questo pastrocchio è la seguente: chi non svolge una qualunque pratica sportiva, è esentato dal completo isolamento previsto per gli altri umani, che intendono stare all’aperto senza la vergognosa museruola. Tutti gli altri, al contrario, debbono garantire tale, misterioso isolamento il quale, per la colpevole vaghezza con cui viene imposto, sembra voler dire tutto e il contrario di tutto, inducendo gli individui più rigidi a trasformarsi in cacciatori di presunti untori.

Ed è proprio nella vaghezza delle misure che si nasconde l’ombra sinistra dell’arbitrio, rischiando di trasformare chiunque, in particolare chi è investito di un qualche ruolo pubblico, in uno spietato censore del comportamento altrui. “Date un briciolo di potere ad un idiota e avrete creato un tiranno”, disse una volta il grande Winston Churchill. Come dargli torto?

Aggiornato il 26 marzo 2021 alle ore 09:31