Bin Salman, Renzi e il perbenismo “de sinistra”

“Che scandalo… che onta!”. Matteo Renzi conferenziere lautamente pagato dal principe assoluto dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman. Proprio quello che adesso la Cia di Joe Biden in una disclosure a orologeria indica – non ancora “condanna” né potrebbe farlo – come mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Il suo principale oppositore all’estero, giornalista del Washington Post. “Che onta! Che vergogna! Che scandalo”. Come ci si abitua facilmente alle verità di repertorio e alle deprecazioni in coro del reietto di turno. Se solo Khashoggi fosse paragonabile a Giacomo Matteotti o a Aleksej Navalny – e non a una testa di ponte dei Fratelli musulmani in Arabia Saudita – il gioco sarebbe fatto.

Tutto sarebbe più facile. Ma lo scandalismo spesso fa a capocciate con la realtà storica. Khashoggi in Arabia Saudita guidava il fronte di chi si opponeva, e tuttora si oppone, alle pur timide ma non insignificanti riforme che Bin Salman sta tentando di fare sin da quando lanciò il manifesto della cosiddetta “Ruja”, la visione, che delineava una transizione anche ecologica del Regno dal 2020 al 2030. Una visione ecologica e modernista che, nelle sue tecnicalità, sorprende molto positivamente chi l’ha letta. Compresi gli Stati Uniti, Israele e almeno in parte il sottoscritto. Un regime che rimane, tuttavia, dispotico e oppressivo ha il diritto di uccidere brutalmente un suo oppositore, che sta tentando di boicottare da tempo con i suoi articoli e con il suo attivismo “convegnologico” la suddetta svolta di Bin Salman? Ovviamente no. Di fatto, però, lo fa. Lo fa l’Iran. Lo fa Hamas a Gaza. Lo fa la Cambogia. Si sospetta che lo facciano Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan. Lo faceva Hugo Chavez e lo fa Nicolás Maduro. Eccetera. Insomma, in quel tipo di Paesi lo fan tutti.

Solo per le conferenze pagate (e denunciate al fisco italiano) da Bin Salman a Renzi, però, si tenta di farne una ridicola bandiera di diritti umani irrisi, cinicamente, dal terribile fiorentino. I soldi dalla Russia, dal Venezuela e dall’Iran ai partiti populisti o a loro propaggini sono dettagli. Renzi, come si faceva notare, almeno i soldi li dichiara al fisco. Fino a prova contraria. Gli altri li incassano sottobanco e deprecano lui, perché è antipatico e sta sullo stomaco a tutti loro e ai loro follower.

Khashoggi, a dirla tutta, è stato oggetto di una attenzione geopolitica esagerata. Così che il suo omicidio può definirsi un inutile autogol politico, o se si preferisce un assassinio mirato male. Che porterà più problemi che soluzioni. Il contrario del nodo di Gordio, la spada usata per annodare, invece che per sciogliere. Khashoggi non era di certo un terrorista ma un estremista quello sì. E quindi per chiudergli la bocca il regime avrebbe dovuto – dal punto di vista machiavellico – usare altri mezzi. È un po’ come – usando il consueto paragone calcistico – un difensore che provoca un rigore, quando il calciatore della squadra avversaria è ben lontano dal potere fare gol. Un report della Cia inoltre non può essere preso come Vangelo quando conviene alle idee della sinistra italiana – che sta tentando di sbarrare la strada al riformismo centrista con le truppe allo sbando e di complemento un po’ mercenarie del grillismo – e trattato da cartacce della reazione contro-rivoluzionaria in tutti gli altri casi.

Renzi avrà, anzi ha fatto, senz’altro una mossa azzardata – o una vera e propria caza politica – ma detto questo, chi gli carica moralmente una responsabilità indiretta, o diretta, di connivenza con un presunto, anzi presuntissimo, assassino è il solito esemplare umano, politico e psicologico di quel perbenismo ipocritade sinistra” che si accorge dei diritti umani violati nel mondo solo quando gli fa comodo e possono essere usati per fottere il nemico di classe. O di corrente.

Aggiornato il 03 marzo 2021 alle ore 09:42