Un patentino per i Pubblici ministeri

Si tratta qui di una proposta volutamente provocatoria, nel senso che non pretende di diventare realtà, trattandosi di una proposta intelligente ed essendo noto che basterebbe questa constatazione perché i nostri politici la scartino. È invece provocatoria nel senso etimologico del termine, in quanto “provocare” vale “chiamare fuori, chiamare alla presenza”: insomma, far venire allo scoperto le cose che sono poco chiare o addirittura ignote.  Per far venire alla presenza le cose poco conosciute così come sono, propongo allora di munire in modo obbligatorio tutti i magistrati che esercitino in Italia il ruolo di Pubblico ministero di un patentino a punti, del tutto simile a quello che da alcuni anni viene disciplinato per il permesso di guidare.  E ciò per il semplice motivo che ormai troppo numerose ed eclatanti son divenute le vicende che, partite in modo clamorosamente mediatico e giudiziariamente traumatico attraverso arresti e perquisizioni a carico di politici, imprenditori, gente dello spettacolo, son poi approdate in Tribunale o in Corte d’Appello ad assoluzioni generali, sancendo un completo nulla di fatto.

Pier Luigi Battista ne fa un censimento approssimato per difetto sul Corriere della Sera di pochi giorni fa: Calogero Mannino, Antonio Bassolino, Filippo Penati, Roberto Cota, Francesco Storace, Clemente Mastella, Sandra Lonardo (moglie di Mastella), Nicola Cosentino, Vasco Errani, Roberto Maroni, Raffaele Fitto, Giuseppe Sala, Renato Schifani, Fabio Riva…ed altri che tralascio per brevità. Tutti – e dico tutti – assolti in pieno dopo anni ed anni di processi (il record è di Mannino che tocca i 29 anni), e dopo che il Pubblico ministero aveva esercitato l’azione penale in pompa magna, con tanto di conferenza stampa, di interviste, di audizioni parlamentari, tesaurizzando spesso pubblici elogi da giornali filo-procure come il Fatto Quotidiano ed apparizioni televisive quale intemerato avversario della corruzione e del malcostume.

Francamente, non se ne può più ed ecco dunque la proposta. Munire obbligatoriamente ogni magistrato del Pubblico ministero di un patentino a punti – poniamo dotato di 20 punti – da scalare di una certa quantità, diversa a seconda dell’importanza del caso trattato, ogni volta che l’ipotesi accusatoria venga smentita dalle sentenze assolutorie. Facciamo un esempio per essere più chiari. Se un Pubblico ministero formuli un’accusa a carico di un politico che abbia grandi responsabilità – ministro, sottosegretario, sindaco di una grande città – con conseguenze politiche e sociali di rilievo, e poi tale accusa svanisca in giudizio in primo grado allora vanno sottratti almeno cinque punti; se invece l’assoluzione giunga in Corte d’Appello, andrebbero sottratti tre punti; se in Cassazione, soltanto due.  Ovviamente, se si tratti invece di una persona, accusare la quale non comporti anche sconvolgimenti di particolare gravità della vita politica ed economica, i punti da sottrarre saranno rispettivamente tre, due e infine uno. Insomma, su queste penalizzazioni si può anche discutere, purché resti saldamente affermato un principio, in forza del quale una volta che i venti punti attribuiti ad ogni Pubblico ministero al momento della assunzione delle funzioni si siano esauriti a causa delle troppe assoluzioni che hanno vanificato le sue accuse, costui deve necessariamente essere assegnato ad altra funzione, cessando immediatamente di rappresentare la pubblica accusa: infatti, ha dimostrato di non essere in grado di farlo in modo accettabile e socialmente credibile. Andrà a svolgere le funzioni di giudice civile, di giudice delle imprese o della famiglia, dei marchi o della concorrenza, ma non potrà più svolgere quelle di Pubblico ministero per almeno cinque anni, decorsi i quali potrà chiedere una nuova assegnazione a tale funzione, ma per non più di una volta.

Ciò significa che se un pubblico ministero avrà dilapidato il suo patrimonio di venti punti per ben due volte a distanza di cinque anni l’una dall’altra, mai più potrà svolgere quella funzione. Egli avrà infatti mostrato una endemica incapacità di capire le situazioni della vita e di valutarle come vanno valutate e perciò va definitivamente escluso da quella funzione. Che dire invece se le accuse del Pubblico ministero venissero confermate in giudizio? Propongo che egli possa vedersi riattribuire i punti perduti nel patentino, ma secondo modalità diverse da quelle già segnalate. Sarà infatti necessario che le conferme delle sue accuse in giudizio si registrino in un determinato lasso di tempo – poniamo due o tre anni a far data dall’ultima decurtazione di punti – entro il quale egli potrà sommare i punti ottenuti a quelli già presenti nel patentino; decorso invece quel tempo, la sommatoria sarà esclusa con tutte le conseguenze del caso. E ciò perché accusare ingiustamente qualcuno è assai più grave e perciò va sanzionato in modo più severo di quanto possa invece essere riconosciuto corretto aver accusato giustamente altri: le due situazioni non sono affatto simmetriche. Se fai condannare un colpevole, insomma, hai aiutato la collettività ma se accusi per anni un innocente ne hai causato la morte civile e a volte anche quella fisica. Utopie? Certamente. Ma utili per capire.

Aggiornato il 17 dicembre 2020 alle ore 09:55