Nota a margine: la salute è davvero diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività?

L’articolo 32 della Costituzione stabilisce: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Dunque la salute è tanto un diritto di ciascuna persona quanto un interesse generale della società. Inoltre, secondo i Costituenti, le cure gratuite sono garantite solo agli indigenti, cioè a coloro ai quali le condizioni economiche impediscono di fronteggiare le cure indispensabili alla loro salute. Con la riforma sanitaria del 1978 le cure e le medicine sono state assicurate poi a tutti indistintamente sulla base del principio di sicurezza sociale, per effetto del quale la sanità pubblica è universale e gratuita. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea contiene nell’articolo 35 una specifica disposizione che, ribadendo e rafforzando l’articolo 32 della Costituzione, stabilisce: “Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”. Sapendo che le norme europee prevalgono sulle norme italiane, bisogna dire che anche su questo pilastro giuridico sono state poggiate le politiche europee di sostegno alle nazioni colpite dalla pandemia e dai conseguenti problemi sanitari.

Nessuno può tuttavia affermare che esista un’accettabile e adeguata corrispondenza tra le previsioni della Carta europea e della Costituzione italiana e la realtà effettuale della nostra sanità, che, essendo stata regionalizzata, sfugge alla direzione e al controllo dello Stato o della Repubblica, per usare la parola dei Costituenti. Il Covid-19 ha messo sotto gli occhi di tutti l’inaccettabile confusione e le inadempienze vergognose, alle quali solo l’abnegazione dei sanitari d’ogni ordine e grado ha consentito di rimediare quanto possibile nell’eccezionale contingenza. Le previsioni giuridiche hanno assicurato la sanità sulla carta ma non negli ospedali e non per tutti. La discriminazione trai i cittadini a seconda che fossero ammalati in questa o quella regione ha comportato differenze persino esiziali. Troppi sono morti per aver avuto la disgrazia di contrarre il virus ed essere stati “curati”. o neppure visitati, dalla sanità di una latitudine sfortunata, disamministrata, depredata. L’imposta progressiva sul reddito, che ci fa cittadini, ha “reso” dove più dove meno a discapito della salute di chi versa il tributo all’erario. Alla faccia del servizio sanitario universale e gratuito. E infine, come se nulla fosse, la discriminazione si è tradotta in un vero e proprio ius vitae ac necis perché nessuna autorità, di qualunque specie e colore, dirà mai quanti ammalati “no-Covid 19” ha mandato a morte costrettavi da scelte bensì al momento ineluttabili ma colpevolmente determinate da decenni di sanità politicizzata, asservita a quelle autorità. Nessuno chiederà perdono per i morti “da discriminazione”, orribile a dirsi.

Aggiornato il 30 novembre 2020 alle ore 09:29