L’Italia del regime sanitocratico nel pallone

La vicenda della partita Juventus-Napoli si potrebbe archiviare con una boutade: in fondo, nella Nazione dei mille principati burocratici, la Asl di Napoli si è limitata a prendere per un paio d’ore il posto del Tar del Lazio; che volete che sia?!

Invece, nel Paese che, per dirla con Winston Churchill, va alla guerra come alle partite di pallone e alle partite di pallone come alla guerra, questa poco edificante vicissitudine ci dice molto di noi e, en passant, di come stiamo affrontando il coronavirus. Proprio mentre il legalismo sanitario riprende vigore con la gara a chi licenzia l’ordinanza restrittiva per primo, una partita di calcio dimostra che dopo otto (otto!) mesi di stato di emergenza, di lockdown, di fregola regolatoria cui non si sono sottratti neppure gli amministratori di condominio, di restaacasismo fobico e castale (ah, quanto è facile pontificare al calduccio di posto fisso e stipendio assicurato pure se si sta a casetta a fare le crostate), di patetici ducismi locali and so on, nessuno sa cosa si deve fare e nessuno si prende la responsabilità di deciderlo.

Prima o poi, speriamo, avremo un vaccino contro il virus. Per quello contro le burocrazia più inefficiente del mondo occidentale, che da mesi impone un regime sanitocratico per mascherare l’incapacità di risolvere anche un solo problema, passare con calma: il capo-ufficio non c’è e non si sa quando torna.

Aggiornato il 05 ottobre 2020 alle ore 13:18