Uccidere un parroco

L’omicidio del giovane – anche se cinquantenne – parroco di Como, Don Roberto Malgesini, ucciso proprio da uno di quei diseredati da lui aiutati ogni mattina con l’elargizione di cornetti e latte caldo, per come è avvenuta e per la situazione ambientale che la caratterizza induce ad alcune brevi riflessioni. La prima. Che il parroco sia stato accoltellato da uno da lui beneficato non sorprende, anche se addolora moltissimo. Tale infatti è la natura umana, portata assurdamente a covare una sorta di inconfessabile risentimento – che a volte si traduce in odio – verso chi ci abbia aiutato e perfino beneficato. Non occorrono particolari lezioni psicologiche per intendere come a volte – nella nature più fragili e complesse – il solo fatto che qualcuno ci abbia prestato soccorso in un momento di difficoltà, invece di generare sentimenti di riconoscenza, possa invece partorire un sottile e nefando antagonismo, capace, in alcune circostanze, di tramutarsi in ostilità, in odio, fino al delitto: come se esser stati destinatari di quell’aiuto significasse la certificazione di una inferiorità umana e sociale che invece si tratti di celare o addirittura negare.

Non c’è nulla da fare: siamo forse di fronte – per chi abbia il dono della fede – ad uno dei più tragici effetti del peccato originale, che ci fa capaci di odiare, desiderando o propiziando la morte di chi invece ci ama (come don Roberto). La seconda riflessione. Che il parroco – come riportano le cronache e sempre che sia vero – sia stato multato per aver sfamato e dissetato quei clochard – peraltro in ossequio all’ammonimento evangelico, ha dell’incredibile. Infatti, leggendo il tenore letterale delle ordinanze del sindaco di Como, si vede che venivano proibite le varie forme di accattonaggio, “statico” e “dinamico”, ma non certamente la somministrazione di cibo o bevande calde all’alba delle fredde e umide mattinate comasche, attività propria di Don Roberto. Non si capisce allora davvero a qual titolo egli sia stato multato dai vigili urbani, al punto che si stenta a credere che la notizia riportata corrisponda alla realtà delle cose.

La terza riflessione. Bisogna che qualcuno avverta il sindaco di Como per fargli intendere come il problema dello stazionamento notturno nelle piazze o nei pressi delle chiese di decine senzatetto, non si risolve attraverso ordinanze di sgombero come quelle da lui formalizzate. Anzi, a volte queste possono innescare una sorta di grottesco gioco dell’oca in forza del quale quelli che sono stati sgomberati da una piazza andranno – per forza di cose – a dimorare in una piazza vicina e poi, dopo che sia stata sgomberata anche questa, troveranno ricovero nel viale adiacente e così via all’infinito. Invece, il Comune dovrebbe farsi carico di situazioni umane così delicate, organizzando in modo conveniente e finanziariamente tollerabile un sistema di ricovero ove sia possibile offrire alloggi a chi sia rimasto per strada al freddo e sotto le intemperie. Davanti alla assurda e dolorosa uccisione di Don Roberto, un autentico testimone del Vangelo, il resto sono solo vuote parole. Preferisco allora il silenzio.

Aggiornato il 22 settembre 2020 alle ore 09:53