Per aiutare i ciechi a vedere Putin

Pubblichiamo la lettera che Pietro Di Muccio de Quattro ha scritto al Corriere della Sera (Russia postcomunista manuale per arricchirsi) e la risposta di Sergio Romano.

Salvo le recenti “rivelazioni” sullo Stato-mafia, la spiegazione di un fatto tanto evidente quanto sorprendente. Nel 1991 finisce il comunismo sovietico. Vladimir Putin ha sui 35 anni e gli altri magnati ancora meno. La proprietà era tutta statale. Come hanno fatto questi giovanotti a diventare miliardari in dollari? La risposta è semplice. Hanno spartito la roba di tutti e se la sono presa gratis. Il servizio segreto ha fatto il servizio in segreto ai poveri russi che, o zarismo, o bolscevismo, o oligarchismo, sono secoli che vengono calpestati. Perché non si dice? Per quattro motivi: paura, gas, petrolio, mercato. Vorrei comunque il suo parere: la Russia la conosce bene.

Pietro Di Muccio de Quattro ([email protected]).

Caro Di Muccio de Quattro, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la morte del comunismo, la Russia aveva industrie vecchie, infrastrutture insufficienti e dirigenti aziendali privi di qualsiasi nozione sul funzionamento dell’economia di mercato. I medici occidentali accorsi al capezzale del malato prescrivevano ricette diverse, ma generalmente fondate sulla tesi che occorresse privatizzare e liberalizzare. Un ministro, Anatolij Chubajs, raccolse la sfida e decise la pubblica distribuzione di voucher (noi diremmo buoni o coupon), ciascuno dei quali corrispondeva a una piccolissima percentuale della proprietà di un’industria di Stato. Per diventarne proprietari occorreva naturalmente fare incetta di voucher sul mercato. È questo il momento in cui entrano in scena i personaggi che verranno successivamente chiamati oligarchi. Sono giovani, intelligenti, ambiziosi, quasi sempre provenienti da ottime scuole tecniche e scientifiche e già noti per la loro intraprendenza nelle organizzazioni giovanili del partito comunista. Il denaro di cui hanno bisogno per comprare voucher è nelle Casse di risparmio, enormi salvadanai in cui il cittadino sovietico deposita il denaro che non riesce a spendere nei negozi semivuoti del Paese. Grazie alle loro amicizie nell’apparato politico-amministrativo dello Stato, questi giovani intraprendenti ottengono prestiti di favore, usano il denaro per comprare i voucher e lo restituiscono quando l’inflazione a due cifre ha drasticamente ridotto l’ammontare del debito. Il resto della storia è meglio noto. Quando l’azienda comprata gestisce risorse naturali (gas, petrolio, legno, minerali) l’oligarca esporta le ricchezze della Russia, trattiene all’estero gran parte del ricavato, evade il fisco e unge tutte le ruote necessarie al buon funzionamento della sua macchina. Non basta. Per meglio consolidare il suo potere crea una banca che gli permette di gestire segretamente i suoi flussi di denaro e compra giornali o canali televisivi che gli coprono le spalle e possono all’occorrenza condizionare il potere politico. La storia di Vladimir Putin è alquanto diversa. Quando torna a Leningrado dopo la fine del suo incarico in Germania, l’ex colonnello del Kgb ritrova il suo vecchio professore della facoltà di giurisprudenza, Anatolij Sobchak, uomo di grandi qualità morali e intellettuali. E quando Sobchak è eletto sindaco della città, Putin diventa il suo più stretto collaboratore sino al giorno in cui sarà chiamato a Mosca per assumere funzioni sempre più importanti nella cerchia di Eltsin. Putin, quindi, non è un oligarca. Sarà anzi il maggior nemico degli oligarchi, l’uomo che restituirà allo Stato il controllo delle risorse svendute nel decennio precedente e non esiterà a punire duramente quelli che gli oppongono resistenza. Con gli altri, tuttavia, sarà più tollerante e conciliante. Gli oligarchi, quindi, non sono interamente scomparsi. Quelli che obbediscono allo Stato (o, per meglio dire, a Putin) hanno ancora il diritto di conservare i loro tesori e di accrescerli.

Sergio Romano

Aggiornato il 18 settembre 2020 alle ore 09:58