Palamara, il non indagabile

In Italia, tutti, nessuno escluso, sono indagabili per i fatti commessi (o non commessi). Tutti, tranne uno e cioè Luca Palamara.

Spiego. Nessuno di noi, comuni mortali, può censurare il proprio eventuale magistrato della Procura, nel caso occorra difendersi da un qualche addebito, anche perché a differenza dei giudici, che sono ricusabili nei casi previsti dalla legge, il Procuratore e i suoi sostituti non lo sono affatto.

Nel caso di Palamara, la situazione è molto diversa. Questi, allo stato, risulta indagato da ben tre versanti: dalla Procura di Perugia, per eventuali reati commessi; dalla Procura Generale della Corte di Cassazione, per eventuali illeciti disciplinari; dai Probiviri della Associazione Nazionale Magistrati, per eventuali scorrettezze incompatibili col ruolo di associato. In nessuno dei tre casi, Palamara è indagabile e gli indagatori dovrebbero subito farsi da parte. Come si dice in gergo processuale, dovrebbero astenersi: tutti.

Infatti, gli indagatori sono tutti magistrati, appartenenti cioè alla stessa corporazione di Palamara, suoi colleghi; ma sono proprio i suoi colleghi a non poter far nulla nei suoi confronti e a non poter dir nulla, per il semplice motivo che sempre vegeterà il sospetto che colui, di costoro, che fa o che dice, faccia e dica o per appoggiarne la posizione – in quanto da lui beneficato in passato nel gioco delle correnti – o per vendicarsi di un qualche torto subito – in esito allo scontro fra le correnti – oppure semplicemente perché occupa il posto che occupa – fosse anche quello di Procuratore Generale della Cassazione – in forza e a causa di spartizioni correntizie identiche a quelle che vengono a Palamara addebitate.

Insomma, in linea di principio, più in alto son collocati questi signori nelle gerarchie interne della magistratura, meno son legittimati a indagare – e poi a giudicare – Palamara, perché tutti sospettabili di aver agito esattamente come lui o comunque di aver tratto benefici dalla lottizzazione correntizia. Evangelicamente, nessuno di loro è legittimato a scagliare la prima pietra, ma siccome è proprio questo che stanno facendo e si accingono ancora a fare, non posso nascondere che ne sono scandalizzato.

Tanto per capirci, ed estremizzando, sarebbe come se a indagare – e poi a giudicare – un ladruncolo, venissero chiamati quelli che – forse (e qui lo sottolineo tre volte) – gli han fatto da corona o addirittura han partecipato insieme a lui alle sue ruberie. Vi pare normale? A me, no.

C’è davvero da scandalizzarsi. E invece, no. Nessuno si scandalizza. Apprendiamo così che addirittura in Cassazione hanno costituito un nutrito gruppo di magistrati al solo scopo di censire le sessantamila pagine (si pensi che i “Promessi Sposi” non superano le 500 pagine) in cui son trascritti i messaggi del telefonino di Palamara.

Domanda che nasce non dalla malizia, ma dalla normale esperienza di vita: siamo proprio sicuri che uno di questi signori facenti parte di codesto gruppo, trovando il proprio nome citato una o più volte in una di quelle pagine, non venga preso dalla irresistibile tentazione di deletarlo, di trasformarlo, di cancellarlo, di sbarazzarsene, con tanti saluti alle famose e neglette ragioni della giustizia?

Magari, di fatto, non sarà così e me lo auguro di cuore. Ma nulla e nessuno può escluderlo in linea di principio. E allora, come la mettiamo?

La mettiamo in modo che dovrebbe pensarci Sergio Mattarella, nella sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e di Capo dello Stato e perciò custode della Costituzione.

In particolare, Mattarella, invece di limitarsi a denunciare sconcerto – come ha fatto più volte in questi giorni – siccome lo sconcerto lo abbiamo anche tutti gli italiani prima e ben più di lui, dovrebbe intimare a tutti questi signori di smetterla una buona volta, perché non possono aspirare a quella credibilità sociale che invece dovrebbero garantire quale fonte della loro necessaria legittimazione: nessun giudice può tollerare infatti di essere sospettato di aver commesso falli simili a quelli per cui deve giudicare il suo imputato, pena una rovinosa quanto irredimibile perdita di credibilità pubblica e privata. Mattarella dovrebbe insomma – come usa dire – “prendere il toro per le corna” e, chiedendo al Governo di varare in fretta e furia un decreto urgente specifico, far adottare la sola soluzione oggi possibile, in attesa di riforme ponderate e globali.

Suggerisco infatti di affidare le indagini su Palamara – in sede penale, disciplinare e associativa – alle sole persone ancora vergini, in quanto incontaminate dal cancro correntizio e perciò le sole credibili: gli uditori giudiziari, vale a dire i giovani magistrati appena nominati.

Immagino l’obiezione: l’inesperienza, la giovane età poco adatte a vicende così delicate per la vita delle istituzioni pubbliche. Lo so bene. Tuttavia, meglio di gran lunga l’inesperienza e la giovane età, che un’esperienza e una età non più verde, maturate nel cuore della spartizione del potere nella logica delle correnti. Qui, infatti, non si tratta di essere più o meno capaci o bravi. Si tratta, prima ancora, di essere credibili.

Coloro che oggi indagano su Palamara, malgrado loro, non lo sono. I giovani magistrati appena nominati, invece, lo sono. Tuttavia, bisogna far presto: prima che i colleghi, quelli meno giovani e con più esperienza, vengano a bussare alla loro porta, invitandoli a quella ignobile fiera delle vanità cui essi stessi parteciparono.

Nell’attesa, speriamo che, udito quel bussare, le loro porte rimangano chiuse. Sì, ma fino a quando?

Aggiornato il 24 giugno 2020 alle ore 11:44