Giudicare il comportamento delle forze politiche che sostengono il Conte bis, in particolare i Cinque Stelle e il Partito Democratico, è sempre più complicato. La colpa è del professore Massimo Cacciari, filosofo e uomo di pensiero della sinistra, che puntualmente ci ruba il mestiere. È accaduto anche ieri, al Senato, dopo l’esito della votazione in Giunta delle autorizzazioni a procedere. Con 13 voti a favore contro sette contrari, la Giunta ha approvato la relazione del presidente Maurizio Gasparri le cui conclusioni sono state di respingere la richiesta fatta dal Tribunale dei ministri di Palermo di processare il senatore Matteo Salvini. La vicenda per cui è indagato il leader leghista, ministro dell’Interno del primo Governo Conte all’epoca dei fatti oggetto d’indagine, riguarda la ritardata autorizzazione allo sbarco degli immigrati dalla nave “Open Arms” che li aveva accolti a bordo, a largo della Libia, nell’agosto dello scorso anno. I reati contestati? Un déjà vu catanese, con una novità: sequestro plurimo aggravato di persona (articolo 605 commi 1, 2, 3 Codice penale) e rifiuto di atti d’ufficio (articolo 110, 328 1° comma Codice penale).
A questi il Tribunale dei ministri palermitano ha aggiunto l’articolo 81 del Codice penale: “Concorso formale. Reato continuato”. Una sorta di reato “Bingo” che, se riconosciuto in sentenza, consegnerebbe l’imputato Salvini a una lunghissima pena detentiva. Ora, parlare del caso giudiziario non vale la pena. Tutti sanno che è una messinscena montata ad arte. Lo sa la sinistra che usa l’arma della giustizia come strumento di lotta politica. E, da ciò che è emerso dalle intercettazioni nel caso “Palamara”, lo sanno anche i magistrati per i quali, benché Salvini non abbia fatto niente di sbagliato, deve essere bastonato, come avrebbe detto Totò: a prescindere. Dicevamo di Cacciari che ci ruba il mestiere. Già, perché la sintesi del suo giudizio politico sulla vicenda, affidata a un’intervista all’Huffington Post, è fulminante e perfetta. I “dem” che si ostinano a votare in Commissione per l’autorizzazione a procedere, sebbene consapevoli che il caso sia una bufala? “Una bella figura di merda”. E i grillini che si accaniscono contro l’ex alleato? “Ma scherziamo, si dimettessero. Hanno un muso di tolla”. E i renziani che sono usciti dalla stanza della Giunta al momento del voto determinando l’esito favorevole per il senatore Salvini? “Li giustifico. Avrei detto: Non prendo parte a questa pagliacciata”. Neanche una Nikon D750 con obiettivo 24/120 mm avrebbe reso un’istantanea della situazione della maggioranza di governo altrettanto nitida.
Non è bastato quello che hanno fatto a Silvio Berlusconi, purtroppo questa sinistra che odia la democrazia perde il pelo ma non il vizio. I suoi uomini sono dei bari che sanno giocare soltanto con carte truccate. Finora gli è andata bene perché hanno avuto l’improntitudine d’incrociare personaggi, appartenenti ad apparati del circuito mediatico–giudiziario, che coltivavamo il medesimo interesse a tenere la destra lontano dal governo del Paese. E ci sono riusciti benissimo. A sostegno, non abbiamo solo le parole “rubate” al magistrato Luca Palamara, ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati attualmente indagato per corruzione dalla Procura della Repubblica di Perugia, a rendere manifesta la strategia della “Conventio ad excludendum” delle destre dalla stanza dei bottoni, ma anche le dichiarazioni di un insospettabile di simpatie leghiste o berlusconiane: il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, già magistrato di punta in inchieste giudiziarie che fecero molto scalpore mediatico ma non portarono a nulla.
De Magistris, in una trasmissione televisiva, offre uno spaccato devastante della tracimazione del potere ad opera dei suoi colleghi magistrati, del Csm e del suo vice presidente dell’epoca, Nicola Mancino, nonché dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che de Magistris definisce il “mandante” del suo siluramento come inquirente quando lui, giovane sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, aveva cominciato ad annusare dalla parte sbagliata. “Perché fino a quando indagavo su Berlusconi, mi facevano l’applauso. Come cominciai ad indagare a sinistra, mi dissero: ma che fai, indaghi pure a sinistra?” È l’accusa che de Magistris rivolge al sistema di potere di cui si è sentito vittima. Ciò che sta venendo fuori, con la scoperta dell’acqua calda degli intrecci perversi tra la sinistra, i media di regime e pezzi influenti dell’apparato giudiziario, restituisce il ritratto di una democrazia incompiuta. La domanda che dovremmo porci è come sia immaginabile un futuro costruito su regole certe e comportamenti leali tra poteri dello Stato, e al loro interno, se è vero ciò di cui quotidianamente veniamo a conoscenza. Ma non facciamoci troppe illusioni circa il risanamento dello spirito democratico presso le attuali classi dirigenti.
Basta guardare cosa passi il convento in questi giorni tempestosi: niente ideali, niente grandi scelte strategiche, nessuno slancio morale, solo politica di basso cabotaggio fatta da piccoli uomini che si atteggiano a grandi statisti. Oggi a vestire i panni dell’improbabile uomo della Provvidenza è quel Matteo Renzi che ha ordinato alla pattuglia di senatori del suo micro partito presenti in Giunta per le autorizzazioni di “graziare” Salvini assentandosi al momento del voto. Non è stata una decisione dettata da una coscienza garantista ma tatticismo a scopo ricattatorio. Il leader leghista, la sua vicenda processuale, vengono spudoratamente usati da Matteo Renzi come futura merce di scambio per lucrare qualche utile di bottega dagli alleati di governo. E poi, grillini e “dem” in disaccordo su tutto che hanno bisogno della testa del leader leghista per ritrovare un’unità d’intenti da mostrare all’opinione pubblica sempre più delusa dal Conte bis. Che disgustoso spettacolo! A riguardo, è illuminante la testimonianza resa da una senatrice presente in Giunta delle autorizzazioni a procedere, la grillina Alessandra Riccardi che ha votato contro la richiesta del Tribunale dei ministri di Palermo in dissenso con il suo gruppo.
Al quotidiano Il Messaggero la Riccardi ha rivelato: “Ho subito molte pressioni dal M5s. Vito Crimi (capo politico del Movimento, ndr) mi ha detto che un voto in dissenso avrebbe complicato la trattativa all’interno della maggioranza, ha molto insistito. Mi sono sentita minacciata, ma con me queste cose non funzionano”. Chiaro qual è l’andazzo? Penserete che sia uno schifo. Sì, lo è. Per Salvini non è finita ma solo rimandata. Bisognerà attendere il voto dell’Aula, previsto in giugno, per conoscerne il destino giudiziario. Vedremo se Renzi avrà spillato gli ennesimi trenta denari ai suoi alleati per voltare gabbana. Però, questa volta l’argento di Giuda potrebbe non bastare. Il ricatto ha fatto scuola. Qualcun altro all’interno della maggioranza, un insospettabile, potrebbe fare uno sgambetto al premier Conte e ai suoi “fidi” alleati del Partito democratico facendo mancare la maggioranza richiesta per la decapitazione in effigie del leghista. Un metodo ormai collaudato per dire ad amici, ad alleati e ad avversari: “Guardate, che ci sono anch’io”. In questa sporca vicenda un sequestro di persona c’è stato ed è tutt’ora in corso, ma non ai danni degli immigrati comodamente depositati un anno orsono nei porti italiani. Il sequestrato di cui parliamo è il leader politico dell’opposizione, Matteo Salvini. Ai sequestratori che lo tengono in ostaggio sotto il giogo dei ricatti e contro ricatti, rivolgiamo un appello: “Abbiate un po’ di umana pietà, lasciatelo andare, restituitelo ai suoi affetti”.
Aggiornato il 27 maggio 2020 alle ore 11:20