I mirabolanti shock del Premier

Intervenendo alla Camera, il premier Giuseppe Conte ha promesso a breve “uno shock economico senza precedenti”.

Un poderoso rilancio del Paese che passi attraverso l’Araba fenice della semplificazione burocratica e la chimera degli investimenti infrastrutturali. Tutto questo, unito al solito profluvio di belle intenzioni prive di alcuna concretezza programmatica, con l’evidente intento di rassicurare soprattutto la parte più produttiva della collettività, la quale ancora stenta a riprendersi dal precedente shock realizzato da questo genio: quello che ha letteralmente paralizzato l’Italia per ben due mesi.

E poi, come ciliegina sulla torta avvelenata di una direzione politica a dir poco imbarazzante, sta per arrivare il terzo e decisivo shock. Ovvero il consuntivo di un dissennato lockdown che renderà manifesto pure ai sassi l’impossibilità anche per un breve tempo di sostenere una spesa pubblica ulteriormente gonfiata da un mare di nuovi sussidi e con la bomba ad orologeria di un debito pubblico sempre meno gestibile.

In questo senso, con un Paese ancora sotto l’effetto letargico di una propaganda terroristica e terrorizzante che continua a raccontare un film epidemico dell’orrore, la stragrande maggioranza della popolazione ancora neppure si domanda in che modo il sistema nel suo complesso riuscirà a ritrovare una accettabile forma di equilibrio economico e finanziario, tale soprattutto da impedire che le principali agenzie di rating arrivino a dichiarare junk, ossia spazzatura, il nostro oramai incontrollabile debito pubblico.

E se per adesso la situazione è mantenuta relativamente tranquilla dai massicci acquisti operati sui nostri titoli di Stato dalla Banca centrale europea, senza una rapida ripresa delle attività produttive e, a mio avviso, senza una politica di forte contenimento a regime della spesa pubblica improduttiva, se così vogliamo definirla, nessuno potrà salvarci dalla catastrofe del default.

In soldoni, quello che gli analisti finanziari si stanno chiedendo da qualche settimana è a quale livello del rapporto debito/Pil si attesterà l’Italia alla fine dell’emergenza sanitaria – sempre sperando che non ne arrivino altre a darci il definitivo colpo di grazia.

Perché se già prima dell’arrivo del Covid-19 la sostenibilità dell’indebitamento pubblico era costantemente in rianimazione a causa di una economia in perenne ristagno, oggi siamo entrati nelle nebbie di una terra incognita, condotti per mano da un Governo e da un Comitato tecnico-scientifico che hanno affrontato fin qui l’epidemia con le tecniche di 100 anni fa. Scelte le quali, ripeto, mi sono sembrate talmente dissennate che il rischio di fare un salto indietro di un secolo appare più che fondato. E allora sì che lo shock preannunciato dal nostro impareggiabile “avvocato del popolo” potrà avverarsi in pieno, ma in un senso assolutamente catastrofico per un Paese che ancora oggi ritiene di poter continuare a vivere ben sopra le proprie possibilità, con o senza pandemie.

Aggiornato il 22 maggio 2020 alle ore 17:31