La Repubblica dei miasmi

L’ipocrisia, si sa, è un male antico della politica. Alle nostre latitudini i cittadini sono, da una pratica ultra-decennale, assuefatti alla separazione consapevole delle parole dalle azioni. Anzi, più l’incoerenza tra fatti e parole si amplifica, più gli italiani tendono ad invaghirsi del cialtrone di turno (salvo gettarlo nella polvere quando il Suo, in realtà il Loro, bluff si fa manifesto).

Ma in questa triste ora si sta andando oltre.

In queste ore si discute la mozione di sfiducia al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Ebbene, l’ipocrisia è talmente manifesta, oserei dire macchiettistica, che non si fa neppure lo sforzo di evocare i valori che dovrebbero guidare le scelte. Una questione di Potere (ad avventurarsi negli scenari degli ipotizzati rimpasti di Governo verrebbe da dire di bassa, bassissima, cucina del potere) nella quale il riferimento alla Giustizia è mero espediente retorico.

Intorno a noi stracci che volano in prima serata tra Guardasigilli e pm d’assalto, intercettazioni birichine tra magistrati che svelano ciò che tutti sanno sul sistema correntizio e le sue degenerazioni, tribunali che non lavorano vittime di veti sindacali da surrealismo ultra-corporativo, Procuratori della Repubblica arrestati con accuse infamanti. Miasmi mefitici sempre più intollerabili.

Bonafede resterà ministro, qualcun altro lo diventerà, ma la “mal aria” resterà a renderci impossibile il respiro, senza neppure un Dante alla cui pietas rivolgere il proprio “ricordati di me che son l’Italia”.

Aggiornato il 20 maggio 2020 alle ore 10:55