Coronavirus: resistere, resistere, resistere!

Sul fronte della guerra al Coronavirus le cose vanno leggermente meglio. Non è cominciata ancora la consistente discesa del numero dei contagi, ma un calo comunque è stato registrato. Ciò significa che, in qualche misura, la decisione di tenere gli italiani chiusi in casa ha funzionato. Ora, però, non è il momento di mollare la presa. Suona sospetto che si parli con insistenza dell’avvio della cosiddetta “Fase 2”, intendendola come il momento del “liberi tutti”.

Benché sia più che legittima l’aspirazione a uscire al più presto da un incubo che sembra interminabile, bisogna essere realisti: ci attendono almeno altre due settimane di confinamento domiciliare prima di poter vedere un allentamento delle misure di prevenzione sanitaria. Il Governo al momento tace sul punto, attenderà le giornate pasquali per dare il ferale annuncio sulla prosecuzione della quarantena. Sul lato dell’opinione pubblica non è che si possa fare granché. Mai come in questa terribile circostanza la gente comune è apparsa tanto disarmata e impotente di fronte all’aggressività di un nemico invisibile. Una cosa però i concittadini possono farla per il loro bene e per quello dell’intera comunità nazionale: smetterla di dare ascolto a chi dica “laqualunque” sulla natura del virus, sulle vie di contagio, sui modi per combatterlo e sulle misure di prevenzione adottate dalle autorità pubbliche per fronteggiarne la diffusione.

Ma chi è che propala falsità sull’argomento? Non parliamo di immunologi, virologi, infettivologi, epidemiologi, pneumologi, anestesisti e specialisti in tecniche rianimatorie. Magari avessero parlato solo costoro. Ciò che si legge in giro è scritto da gente che, con tutta probabilità, non ha mai visto un testo di medicina in tutta la vita. Eppure, le sentenze vengono sputate con una velocità e in una quantità da fare invidia alla catena di montaggio di fordiana memoria. Si dirà: l’informazione circola incontrollata sul web e i social sono diventati gli hub per le catene di castronerie che avviluppano il pianeta. È un problema fermarle. Bisognerebbe demolire la rete per evitare che le stupidaggini, pane quotidiano degli imbecilli, circolino e si diffondano. Ma questo non è pensabile perché vorrebbe dire rimettere indietro le lancette dell’orologio della Storia. Nessun uomo è riuscito in una simile impresa, perché il divenire del tempo storico, espressione di continue sintesi di processi d’interazione tra individui e tra comunità umane, non è arrestabile. Essere rinchiusi in casa non è una condizione piacevole. Certamente reca con sé pericolosi effetti collaterali di cui si dovrà tenere conto quando il peggio sarà passato. Ma se la comunità scientifica all’unisono ha detto che l’unico rimedio per fermare l’avanzata di un virus, che al momento non si riesce a contrastare in altro modo, è la quarantena, obbediamo all’ordine di starcene a casa senza troppo dolersi per la libertà (temporaneamente) perduta. Se non si ha sufficiente rispetto degli altri, si abbia un minimo di pietà per quella marea di morti con cui il virus maledetto ha lastricato la sua personale via alla malattia.

L’ultimo bollettino di guerra diramato dalla Protezione civile riferisce di nuovi 880 contagiati tra ieri l’altro e ieri e di ulteriori 604 decessi. Sono ancora tanti, troppi che non possiamo far finta che sia tutto normale, che sia l’ordinaria amministrazione di un’epidemia influenzale sfuggita di mano. Non si tratta di danni collaterali da mettere nel conto dei sacrifici reclamati dal “Dio Progresso”. È la peste del nostro tempo, che aggredisce con inusitata violenza e fa strage. Dovremmo avercela a morte non soltanto col virus ma con le cause che ne hanno determinato la diffusione. Dovremmo essere arrabbiati e accecati dalla voglia di vendetta contro questo nemico vigliacco. Invece, a stare ad alcuni opinionisti, l’unica preoccupazione dovrebbe essere quella di ricominciare a produrre perché c’è l’economia da far girare che varrebbe molto più delle vite che il “maledetto” sta portando via. È umanamente comprensibile che ci si preoccupi del dopo. Sappiamo benissimo che quando tutto sarà finito ci troveremo sotto un cumulo di macerie. Il turismo è messo al tappeto, il commercio raso al suolo, l’industria farà una gran fatica a rimettersi in movimento. La povertà incombe sui singoli destini come la nera mietitrice. È una tragedia senza precedenti negli ultimi decenni. Con l’aggravante di una classe dirigente impegnata in un indecente scaricabarile delle proprie responsabilità. In Italia, come in Europa. Assistere agli agguati giornalieri che l’Esecutivo Conte, coadiuvato dalla forze politiche che lo sostengono in Parlamento, tende al governo di Regione Lombardia avendolo scelto a bersaglio in quanto simbolo e prova vivente dell’eccellente capacità amministrativa che i partiti della Destra plurale assicurano alle comunità territoriali, è disgustoso. Fuori dai “Palazzi” c’è un’Italia in pezzi e che soffre. E cosa fanno i politici? Provano a farsi sgambetti. Sorge il dubbio che costoro non conoscano i numeri economici del dramma nazionale.

Secondo una stima della Cgia di Mestre, le imprese artigiane avrebbero perso in un solo mese di stop (12 marzo-13 aprile) circa 7 miliardi di fatturato, il che spinge il settore delle piccole imprese artigiane verso l’estinzione. In assenza di una ripresa entro maggio, si calcola che almeno 300mila aziende, pari al 25 per cento dell’universo delle imprese artigiane, cesseranno di esistere. La produzione industriale è colata a picco. Dopo un calo del 2,6 per cento tra gennaio e febbraio, i dati in possesso del Centro Studi di Confindustria rilevano una diminuzione in marzo del 16,6 per cento rispetto al mese precedente. Nel primo trimestre 2020, la variazione della produzione industriale è stimata a -5,4 per cento congiunturale. La crisi non è solo italiana ma globale e si ripercuote pesantemente sui livelli occupazionali. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) stima che “la crisi economica e del lavoro causata dal Covid-19 potrebbe incrementare la disoccupazione nel mondo di quasi 25 milioni. Sulla base di possibili scenari delineati dall’Oil, le stime indicano un aumento della disoccupazione globale che va da 5,3 a 24,7 milioni”. Che si andrebbero ad aggiungere ai 188 milioni di disoccupati nel mondo, censiti nel 2019. Sono numeri da Apocalisse di Giovanni.

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che, dopo il virus, ci aspetti un nuovo mondo da ricostruire. E non sarà impresa facile, perché non tutti avranno la forza, la capacità o solo la voglia d’impegnarsi a ricominciare. Cionondimeno, per quanto sia duro accettarlo, oggi il dovere di ciascuno di noi, soldato mandato a combattere su un fronte in cui non si distinguono trincee, è di rispettare la consegna: stare nelle proprie abitazioni e muoversi solo per comprovate, indifferibili necessità previste dalla norma. Questa generazione, cresciuta nella bambagia dei diritti, del “tutto e subito”, per una volta sarà capace di ottemperare a un dovere senza cercare sotterfugi per marcare visita? Stavolta, l’imperativo categorico, impegnativo per tutti è: “resistere, resistere, resistere!”. E se non fosse espressione a rischio di sgradevoli malintesi ideologici, verrebbe d’aggiungere: “Boia chi molla!”.

Aggiornato il 08 aprile 2020 alle ore 10:57