Dopo le moschee fai-da-te, i centri culturali, le carceri, internet e la famiglia, si aggiunge un nuovo luogo di possibile trasmissione dell’estremismo islamista in Italia: le scuole religiose. È fresca la notizia della chiusura a Seregno della sede di un’associazione denominata “Norou Dareyni Touba”, composta da immigrati di origine senegalese. Il motivo è simile a quello che lo scorso dicembre ha portato all’arresto di un imam a Treviso: violenze e umiliazioni sui giovanissimi studenti di lingua araba, nonché di religione e cultura islamica. Se questi sono i metodi d’insegnamento, che tipo di Islam veniva impartito in queste scuole? Le punizioni corporali e psicologiche accertate dagli organi inquirenti non costituiscono un indicatore di radicalizzazione?
Fondamentalista il modo di operare dei docenti, fondamentalisti i contenuti delle lezioni: l’allarme non riguarda soltanto i maltrattamenti nei confronti dei minori, che ricordano quelli delle “madrase” talebane, ma l’indottrinamento a cui potrebbero essere sottoposti i bambini in simili contesti anche in territorio italiano. Vengono effettuati controlli sui programmi di studio? Dei “maestri” sono certificati i buoni intenti e la moderazione? Quante scuole e quanti dopo-scuola, come quelli di Treviso e Seregno, sono sparsi per l’Italia? La necessità d’istituire un albo degli imam e degli insegnanti non resta di stringente attualità?
Inoltre, come già fatto rilevare circa un anno fa nel caso della scuola di S. Felice in provincia di Modena, l’insegnamento della lingua araba a bambini di seconda generazione originari del Nord Africa non costituisce un ostacolo per una corretta integrazione nel tessuto sociale e culturale della società italiana? La protesta che ha visto insieme politici di centrodestra e i genitori degli altri bambini che frequentano l’istituto, è riuscita a scongiurare la realizzazione del progetto. A risultare vincente è stato il principio secondo cui l’integrazione dei bambini stranieri passa per l’apprendimento della lingua e della cultura italiana.
Nulla in contrario verso l’arabo, mia lingua madre che amo. Ma esiste il rischio che attraverso il suo insegnamento i discenti possano ricevere messaggi e concetti riconducibili a ideologie estremiste. L’arabo viene infatti utilizzato come strumento per il proselitismo e l’indottrinamento da parte dei Fratelli Musulmani, contrari a una vera integrazione degli immigrati di religione islamica. Per questo ho più volte richiesto l’introduzione nelle scuole di ore d’insegnamento quotidiano di lingua e cultura italiana per i bambini di seconda generazione.
In realtà, lingua e cultura italiana dovrebbero essere insegnate anche ai loro genitori, soprattutto alle donne: l’80 per cento delle donne maghrebine in Italia, infatti, oggi non sa neppure decifrare le lettere dell’alfabeto e in prospettiva non sono da attendersi miglioramenti, dal momento che al 60 per cento delle maghrebine sotto i 18 anni non viene consentito di andare a scuola, nemmeno a quella dell’obbligo.
Ciò serve a mantenere le donne fin dalla tenera età in uno stato di segregazione, che i Fratelli Musulmani vogliono estendere a tutti i bambini per creare comunità separate su cui esercitare il proprio predominio, avanzando in tal modo l’agenda fondamentalista.
I mancati provvedimenti dei titolari che si sono alternati al Ministero dell’Istruzione come dell’Interno nell’ultimo decennio hanno però consentito alla problematica di estendersi in diverse zone del Paese, come dimostrano i fatti di Treviso e Seregno, che hanno riaperto una ferita chiusa solo momentaneamente dalla vittoria del buon senso ottenuta a S. Felice (nei cui pressi è stata oltretutto costruita in tempi recenti una moschea finanziata dal Qatar).
Estremismo e radicalizzazione, anticamera del terrorismo jihadista dell’Isis e di Al Qaeda, sono una cosa seria. Quando vedremo un Governo italiano agire di conseguenza?
Aggiornato il 22 gennaio 2020 alle ore 11:16