Matteo Renzi: arieccolo

È vero che in politica va bene tutto, ma quella di Matteo Renzi che si proclama salvatore della patria, proprio non la si può sentire. Gli anziani raccontano che una volta esisteva una cosa che chiamavano decenza. Era una sorta di metro che l’individuo usava su se stesso per misurare i propri comportamenti, per evitare di eccedere, per mantenere sobrietà nei rapporti con l’umanità di prossimità. Insomma, una salutare etica del proprio posto nel mondo. Non è che con la sola decenza si forgiassero grandi uomini. Serviva però ad evitare la spacconeria, il millantato credito e l’abuso di credulità popolare, di uomini piccoli. Oggi, purtroppo, quella misura è andata perduta. La conseguenza è nefasta: in politica spregiudicatezza e impostura sono diventate categorie antropologiche sovrarappresentate. E di questa mala genìa di mentitori il senatore Renzi deve essere incoronato campione. Già il solo presentarsi sulla ribalta della “Leopolda” nelle vesti dell’eroe di ritorno da un lungo viaggio mistico fa contorcere le budella. Ma come? Non era stato lui ad annunciare il definitivo ritiro dalla politica all’indomani della catastrofica sconfitta patita al referendum per la modifica della Costituzione il 4 dicembre 2016? E invece rieccolo a fondare un partito, dopo aver picconato le fondamenta della sua vecchia casa, il Partito Democratico. Non era stato lui a dire: mai con i Cinque Stelle? E ora ci fa insieme il Governo, pur fingendo di starci in posizione critica. Non era lui che si faceva chiamare “rottamatore”? E adesso non fa mistero di essersi asserragliato nel Palazzo coi nemici di sempre pur di restare appiccicato alla poltrona e pur di non perdersi il giro di valzer delle nomine dei manager pubblici, dei membri dei Consigli d’Amministrazione delle principali partecipate dallo Stato, su cui certamente vorrà mettere becco. Si può fare immorale clientelismo facendo credere all’opinione pubblica di esseri sani. Qualcuno la chiama arte della dissimulazione.

Ieri l’altro da Firenze Renzi ha preso la parola per farci sapere che lui ha le ricette giuste per salvare l’Italia dal declino, che sa come fare per cui occorre soltanto che glielo lascino fare. Ma ha dimenticato che per tre lunghi anni alla guida del Paese c’è stato lui? E se era così bravo perché non le ha fatte prima le cose meravigliose che promette oggi? L’essere umano di questo tempo storico soffre di un male inguaribile: egli dimentica. L’odierna umanità ha memoria corta. La velocità alla quale gira la società liquida fa sì che la memoria collettiva non venga coltivata, in compenso si delega agli addetti ai lavori la funzione di adattare il passato alle esigenze narrative del presente dominato dal politicamente corretto. Un tempo era compito degli scienziati e degli accademici del settore lavorare sulla storiografia, oggi il solo rammentare la cronaca recente sembra diventato compito per iniziati mentre la generalità profana è esonerata dall’obbligo di ricordare, se non nelle occasioni comandate.

Se gli italiani volessero sfidare lo status quo, ricorderebbero che il galantuomo che oggi parla con disinvoltura del problema dell’immigrazione illegale è lo stesso che 5 anni orsono intraprese la più scellerata politica dell’accoglienza illimitata che il nostro Paese avesse mai conosciuto. Gli esiti drammatici di quell’invasione che fece schizzare a oltre mezzo milione il numero di stranieri approdati illegalmente sulle nostre coste, hanno determinato il successo della Lega e dei partiti favorevoli alla chiusura delle frontiere ai clandestini. È Renzi, non un suo sosia, quello dei miliardi di euro elargiti a gogò alle cooperative sociali perché lucrassero sul business dell’accoglienza. Oggi il suo movimento, “Italia Viva”, guarda al centro per conquistare consensi. Lui prende le distanze dalla sinistra. E chi gli crede? Come si fa a prestargli fede se solo si ricorda che il segretario del Pd che ha portato i ”dem” nel grande contenitore del socialismo europeo, il Pse, è stato lui. Renzi è riuscito a fare ciò che non era riuscito al tetragono Pier Luigi Bersani e, prima di lui, al fondatore del partito, Walter Veltroni. Oggi il senatore di Scandicci fa il seguace di Emmanuel Macron, ma ha dimenticato di quando, era il settembre del 2014, sfilava in camicia bianca alla Festa nazionale dell’Unità a Bologna insieme a tutti i giovani leader socialisti europei? No, Matteo Renzi non è l’uomo della Provvidenza di cui, peraltro, il Paese non avverte il bisogno. È il vecchio e il peggio della politica avvolti in una luccicante carta regalo. Rotto l’involucro, compare il solito assatanato del potere che sarebbe pronto a tutto, a tradire chiunque, pur di riprendersi la scena. E il posto di comando. È il parvenu che non molla la presa ma che, per paradosso di estetica facciale, chiama arrivisti gli altri.

Da domenica Renzi ha cominciato una patetica campagna acquisti presso i parlamentari delle altre forze politiche, in particolare verso quelli di Forza Italia. Probabile che convinca qualcuno di loro a fare il salto della quaglia. Ora, saremmo curiosi di chiedere a quelle cime del pensiero politico che si sono ritrovati in Parlamento per grazia ricevuta da San Silvio Berlusconi: comprereste un auto usata da uno come Renzi? Si vede che devono essere messi proprio male quei parlamentari forzisti se pensano di mettere il loro destino politico nelle mani del cinico fiorentino. Ma come sentenziavano gli antichi: quem Iuppiter vult perdere dementat prius, Giove toglie prima il senno a colui ch’egli vuol mandare in rovina. Sarà per questo che è dalla chiusura della festa a Piazza San Giovanni che taluni forzisti sragionano?

Aggiornato il 22 ottobre 2019 alle ore 09:50