Narrazioni ad uso dei gonzi

Sul tema sempre caldo della fiscalità, un certo scalpore hanno suscitato le parole della renziana di ferro Maria Elena Boschi, pronunciate a margine dei lavori della decima Leopolda, in quel di Firenze: “Il Partito Democratico sta diventando il partito delle tasse… noi siamo quelli che le hanno sempre abbassate e che ora vogliono evitare che aumentino”. Questo dunque il giudizio lapidario, rilasciato ad un nugolo di giornalisti, della capogruppo alla Camera dei deputati di Italia Viva.

Ora, questa stupefacente presa di posizione si inserisce perfettamente all’interno di un dibattito politico sempre più demenziale, in quanto basato su forme di narrazione fondate sulla pura propaganda e, per questo, essenzialmente rivolte ai gonzi delle rispettive tifoserie politiche.

In merito alla questione sollevata, si può sinteticamente dire che esistono due modi per aumentare le tasse o, più propriamente, la pressione tributaria allargata: a) direttamente inasprendo le aliquote e/o inventandosi nuove imposte; b) Aumentando la spesa in deficit, la qual cosa si traduce automaticamente in tasse future.

Ebbene, il prodigioso Governo presieduto da Matteo Renzi, a cui sembra far riferimento implicito la Boschi, ha fatto ampio ricorso ad ambedue i sistemi, onde inaugurare la ben nota linea politica dei bonus, con in cima quello ancora in vigore degli 80 euro.

Sul piano della fiscalità immediata, infatti, esso ha letteralmente massacrato la cosiddetta previdenza integrativa, portando l’aliquota sull’incremento di valore dall’11,5 al 20 per cento. Inoltre, l’imposta sulle famigerate rendite finanziarie, malgrado una delle più asfittiche borse valori d’Europa, ha raggiunto il 26 per cento sui guadagni, in luogo del precedente 20 per cento. Senza poi contare quella piccola mascalzonata di introdurre il Canone Rai in bolletta, cosa che neppure i governi più tassaioli si erano azzardati a fare. Per quanto riguarda invece le imposte future, ossia i vari disavanzi di bilancio, per farsi un’idea dell’andazzo sotto le tre leggi di Bilancio del succitato Esecutivo Renzi, basti dire che furono previste clausole salvaguardia per 12,8 miliardi per il 2016, 19,2 miliardi per il 2017 e ben 22 nel 2018, sebbene in virtù di un leggero miglioramento dei conti pubblici quest’ultima clausola scese a 19,5 miliardi.

Questa pertanto la storia, la quale, come raccontava un detto latino non più di moda oggi, dovrebbe essere sempre considerata “magistra vitae”. Se non altro per evitare di saltabeccare da un tema all’altro, eventualmente cambiando casacca all’occorrenza, per un effimero tornaconto elettorale, senza tuttavia il tentativo di impostare una strategia politica di un certo respiro, come potrebbe essere quella di una coraggiosa battaglia liberale per una effettiva riduzione della summenzionata pressione tributaria allargata. Riduzione che, come mi ritrovo costretto a ripetere fino alla nausea, non può prescindere da un deciso restringimento del perimetro pubblico, con in testa l’abbattimento significativo della spesa corrente. Linea che, per onestà, lo stesso Matteo Renzi ha inteso esprimere decisamente nel corso della stessa Leopolda, principalmente nell’esplicito tentativo di attrarre gli elettori delusi di Forza Italia.

Tuttavia, pur apprezzando in linea teorica la svolta copernicana del leader fiorentino, prima di azzardare un giudizio attendibile consiglierei agli stessi delusi, da lungo tempo in attesa del chimerico partito liberale di massa, di aspettare prima i fatti concreti. Anche perché passare dalla politica dei bonus et circenses a quella assai più seria di un abbattimento strutturale della tassazione ci passa francamente un mare di chiacchiere e propaganda.

Aggiornato il 22 ottobre 2019 alle ore 09:55