La morte di Stefano Delle Chiaie dovrebbe sollevare due problemi specifici. Quello dell’assoluzione che non assolve. Cioè della sentenza giudiziaria di non colpevolezza che, non per insufficienza di prove ma per pregiudizio politico, non cancella in alcun modo il peso dell’accusa giudicata infondata ma, al contrario, la carica di una serie di aggravanti riconducibili alla pretesa dell’ex imputato di considerarsi innocente e di non confessare la colpa che gli è stata attribuita dalla vulgata mediatica dominante.
Questa vulgata ha scaricato su Delle Chiaie l’accusa di essere stato al centro di tutte le trame e le stragi nere del secondo dopoguerra italiano. Ed è con questa accusa, e non con le assoluzioni giudiziarie, che il fondatore di Avanguardia Nazionale viene seppellito all’insegna del “fine pregiudizio mai”.
È proprio questa considerazione che dovrebbe imporre, per onestà intellettuale, non una qualche beatificazione postuma dell’esponente neofascista scomparso, ma una riflessione complessiva, più attenta e meno condizionata da un contesto politico ormai superato, sulla cosiddetta strategia della tensione e sulla tesi dominante da alcuni decenni secondo cui questa strategia venne realizzata dai gruppi neofascisti italiani ed internazionali non solo a causa delle proprie forsennatezze ideologiche, ma anche e soprattutto come manovalanza di un “doppio Stato” formato da oscuri poteri atlantici e dalla mafia nostrana.
Una riflessione del genere non dovrebbe avere come obbiettivo quello di negare che la strategia della tensione ci sia stata con tutto il suo carico di stragi e di “anni di piombo”. Più semplicemente dovrebbe servire a fare chiarezza su un periodo della storia italiana in cui il fenomeno del post-fascismo, di per sé marginale, è stato per un verso alimentato e per l’altro criminalizzato allo scopo di trasformarlo nel comodo capro espiatorio di vicende molto più complesse figlie della Guerra fredda e della particolare condizione dell’Italia di essere terra di confine tra i due blocchi.
È praticamente impossibile che questa riflessione diretta alla ricerca di una verità oggi nascosta possa essere innescata dalla scomparsa di Delle Chiae. Il pregiudizio è ancora dominante. Ma sollecitarla insistendo nella richiesta che vengano resi noti i documenti segreti raccolti dalla Commissione stragi è un atto doveroso. Se non si conoscono le verità del passato, come barcamenarsi tra le difficoltà del presente?
Aggiornato il 13 settembre 2019 alle ore 11:30