Non ci sto

Alla faccia del garbo istituzionale, ancora una volta il professor Conte ha dimostrato tutti i suoi limiti e la sua provincialità politica. Mai, infatti, un Premier si era permesso in aula, e in occasioni tanto delicate, di aggettivare così pesantemente il suo vice. Insomma, quello di ieri più che un commiato istituzionale per la fine di un governo, agli occhi degli italiani che guardavano, è parso il festival personale del risentimento verso Matteo Salvini che ha innescato la crisi.

Ancora di più, perché lo sfogo istituzionalmente inusitato verso il leader della Lega, è stato consumato a freddo, frutto di uno studio attento, parola per parola, per accusare, mortificare, un compagno di viaggio con il quale, fino a ieri guarda caso, si era condiviso tutto. Ma quando mai un Premier, uno statista, giustifica al Parlamento e al Paese la fine di un esecutivo con una reprimenda stizzita e infarcita dalla disistima, nei confronti di un ministro dell’interno?

Perché, sia chiaro, il discorso di Conte si è esaurito lì. Il resto, citazioni inutili comprese, è stata zavorra demagogica segno della autoreferenzialità di chi per un verso si sente coperto, per l’altro spera di accreditarsi un futuro. La realtà della crisi è diversa, l’abbiamo scritto e lo ripetiamo: da quando 5 mesi fa Nicola Zingaretti è stato eletto segretario Pd, Conte è stato al centro di un progetto alternativo di maggioranza e di governo, per eliminare Matteo Salvini e la Lega, sostituendoli con le sinistre.

Sia chiaro, il progetto era di respiro lungo, per un accordo più lontano, ma lo scivolone di Salvini sui tempi dello strappo lo ha accelerato, spiazzando Zingaretti e favorendo Matteo Renzi, che ne ha approfittato giammai per il bene del Paese, ma per presentare a Zingaretti conto e spese.

Insomma, l’obbiettivo di accerchiare Salvini, visti i risultati di tutte le Regionali, le Europee, visti i sondaggi, era scattato già, la paura che in caso di elezioni, la Lega, la Meloni e Forza Italia facessero strike, aveva terrorizzato e spinto alle contromisure il soccorso rosso del Paese.

Ecco la ragione vera per cui si farà qualsiasi cosa per evitare il voto, l’abbiamo scritto giorni fa, l’obbiettivo è il “sequestro del cdx”, intralciando la strada delle urne e della sua vittoria elettorale. Siamo onesti, ma chi può credere che l’ennesimo ribaltone frutto della somma di perdenti, seppure legittimo, darebbe sicurezza agli italiani che invece vorrebbero l’opposto? Per quale ragione una Finanziaria rossa di tasse, di patrimoniali, di statalismo e sperpero, sarebbe l’ideale per l’Italia? Chi lo dice?

Dove è quell’articolo della Costituzione che vieta di votare in autunno? Oppure dopo un anno e mezzo dal precedente? Non esiste, semplicemente perché la democrazia esiste solo grazie al voto. È il contrario che è vietato.

Ecco perché vogliamo fare nostro quell’appello che Oscar Luigi Scalfaro, il 3 novembre del 1993 a reti unificate grido al Paese, dopo l’arresto durante Tangentopoli del direttore dei servizi segreti Malpica, aggiungendo che era in corso un gioco al massacro: “Non ci sto”.

Dunque noi non ci stiamo, non ci stiamo alle maggioranze opportuniste, alle alleanze di poltrona, ai governi fra chi si è insultato sempre e oggi fa finta di volersi bene, agli esecutivi figli della ipocrisia politica, alle sommatorie parlamentari di ripicca. Ai costituenti che ci hanno regalato con la lotta agli orrori del nazifascismo, con il rischio della vita e l’impegno senza fine, un Paese libero e democratico, fondato sul lavoro e sulla sovranità popolare, queste manovre avrebbero fatto senso, ne siamo certi. Non ci sto, si voti, vinca il migliore, viva l’Italia e gli italiani.

Aggiornato il 24 agosto 2019 alle ore 11:26