Previsioni disastrose sull’Italia dimenticata dall’Ue

Da destra a sinistra (dalla Lega al Pd) tutti sono convinti si possano cambiare le regole sulla distribuzione dei migranti.

La Convenzione di Dublino è il documento che determina la competenza all’asilo dei cittadini extraeuropei: è un “trattato internazionale multilaterale”, siglato quasi trent’anni fa. La caratteristica di questo tipo di trattati è la robusta e rigida impalcatura, che non permette ad un singolo stato (l’Italia per esempio) di pretendere vengano cambiate le regole. Pretendere di cambiare il trattato di Dublino è impresa ardua quanto cambiare le regole monetarie che sottendono l’Euro. Nessuno stato dell’Ue voterebbe mai con l’Italia, nemmeno gli stati del gruppo di Visegrád: perché accontentare l’Italia significherebbe accettare la ripartizione dei migranti e, soprattutto, stracciare tutti gli accordi presi dai governi italiani in ambito Ue. Questi ultimi recitano chiaramente che l’Italia si fa completamente carico degli extracomunitari che hanno avuto accesso all’Unione europea tramite il confine italiano.

Nello specifico, questi accordi vennero raggiunti dai Governi Monti sino a quello guidato da Gentiloni, impegnando come contropartita che Germania e Olanda non imponessero il fallimento dell’Italia presso una corte europea. In pratica dopo il 2012, ed in forza della Convenzione di Dublino, l’Italia ha preso il ruolo che era della Libia di Gheddafi: campo profughi e centro accoglienza dell’Ue. Il sottrarsi dell’Italia a quest’impegno europeo ed internazionale comporterebbe secondo Germania, Danimarca, Francia e Olanda che vengano comminate durissime sanzioni, sino ad imporre drasticamente il fallimento dello Stato italiano. Di fatto l’Italia è nell’angolo, in trappola, e da circa un decennio.

Circa un anno fa, la testata della Svizzera tedesca Die Weltwoche pubblicava l’intervista a Stephen Smith (forse il più autorevole antropologo americano, professore di “studi sull’Africa” presso l’Università Duke in North Carolina). Da un calcolo di matematica applicata alla demografia emergerebbe che il numero di africani che vivono in Italia potrebbe raggiungere i 200 milioni entro un decennio: Stephen Smith tiene conto anche del fatto che l’Italia è Europa, quindi rimanendo in Italia sarebbero da considerare in Ue, anche non potendo valicare i confini alpini. La stima si basa anche su un confronto della migrazione dei messicani negli Stati Uniti, nonché sulle previsioni di crescita della popolazione del Continente nero: secondo un calcolo potrebbero abbandonarlo in 800 milioni entro il 2050, ma secondo altre stime l’Africa tra cinquant’anni conterà 2,5 miliardi di abitanti (cinque volte l’Europa).

Quale la previsione probabile? In entrambi i casi ci troviamo al cospetto di una catastrofe demografica. “Una cosa è certa - spiega Smith al Weltwoche - i genitori dei bambini che nasceranno nel 2050 sono già su questo mondo”.

Media francesi quali Le Monde e Libération hanno già studiato l’esplosione demografica e l’impatto migratorio. Studi urbanistici ed architettonici danesi, olandesi e svedesi si sono già interfacciati col Politecnico di Torino (dove Francesca De Filippi e Paolo Mellano si occupano di architettura sostenibile e flussi migratori). Per esempio lo studio di progettazione olandese Werkstatt ha realizzato il riciclo dei fabbricati dismessi del nord Europa per alloggiare i migranti, ma ha anche partecipato alla conferenza delle architetture “migratorie e sostenibili” dove s’è parlato dell’Italia. Uno scenario difficile da accettare, è stato previsto il sorgere spontaneo di bidonville tecnologiche: forse una decina, che sorgerebbero in maniera alternata riversandosi con modalità pedecollinari un po’ verso l’Adriatico ed un po’verso il Tirreno (città che dall’alto potrebbero somigliare all’orologio di Dalì), e che l’architettura danese vorrebbe aiutarci a gestire. Potrebbero alloggiare milioni di migranti: secondo gli studiosi tedeschi ed olandesi ripopolerebbero l’Appennino sino alle Alpi. Di fatto un impatto di 200 milioni di migranti. Gli 800 milioni in migrazione forse non li vedranno nemmeno i nostri figli.

“Viene spesso detto che l’emigrazione aiuta l’Africa: non sono di questo parere - afferma comunque Stephen Smith (l’antropologo ha radici franco-tedesche) - Spero che prima o poi i governi africani capiranno che non è bene per i loro paesi perdere le persone che vogliono e possono fare qualcosa della loro vita”.

Secondo Smith, autore d’un libro molto avversato in Francia (“La ruée vers l’Europe, la jeune Afrique en route pour le Vieux Continent”, “La corsa verso l’Europa, la giovane Africa in viaggio verso il Vecchio Continente”) “in una democrazia ci si dovrebbe mettere d’accordo su quanta immigrazione si vuole permettere”. Secondo Smith, l’apertura delle frontiere praticata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel è finita molto male “…sia per lei personalmente che per l’Ue: che razza di Europa è quella in cui si decide il futuro comune senza che si voti?”. E Smith spiega che ora l’Ue s’è attaccata in maniera ferrea alle Trattato di Dublino, e difficilmente permetterà che piccoli paesi possano cambiarlo. Non sappiamo se si riferisse all’Italia, ma è certo che l’unico lavoro che l’Ue non intende avversare è l’accoglienza. Quest’ultima, insieme al debito pubblico e privato, fa parte delle catene che permettono all’asse franco-tedesco di condizionare la politica estera ed economica italiana. Dal Nord Europa qualcuno paragona l’Italia a Palmira, affermando che la migrazione massiva finirebbe per distruggere città d’arte e siti archeologici, un po’ come l’Isis in Medioriente. Difficile contemperare tre ruoli, fare accoglienza, conservazione di arte e territorio, e senza dimenticare gli italiani.

Aggiornato il 03 luglio 2019 alle ore 11:26