Sea-Watch 3: attacco allo Stato

Due settimane orsono la nave “Sea-Watch 3”, appartenente a una Ong tedesca, dopo aver raccolto alcune decine di migranti nelle acque libiche, ha fatto rotta verso l’Italia. In applicazione delle norme contenute nel cosiddetto Decreto Sicurezza bis, il ministro dell’Interno, Matteo Savini, ha negato all’imbarcazione l’autorizzazione all’ingresso in porto a Lampedusa. Il comandante della nave, la tedesca Carola Rackete, ha deciso di incrociare a largo dell’isola di Lampedusa, nonostante il rifiuto ricevuto, nel chiaro intento di attendere il momento favorevole per forzare il blocco e sbarcare i migranti su suolo italiano. L’Ong, dopo aver perso un ricorso contro la decisione del ministro dell’Interno presentato al Tar del Lazio e nella speranza di coinvolgere le istituzioni europee perché imponessero all’Italia di accogliere la Sea-Watch 3, si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nella serata di ieri la Corte di Strasburgo, sentite le parti, ha rigettato il ricorso dell’organizzazione non-governativa dando ragione al Ministero dell’Interno. Accusato il colpo, dalla nave Sea-Watch 3 si insiste sulla volontà di sbarcare comunque i migranti in Italia. Ora, per il diritto internazionale le persone recuperate a largo delle coste libiche sono in territorio olandese, visto che la nave batte bandiera dell’Olanda. L’Unione europea, che non esiste se non come costrutto giuridico, non è intervenuta. I Paesi coinvolti: la Germania dove ha sede legale l’Ong titolare dell’imbarcazione e l’Olanda di cui la Sea-Watch 3 batte bandiera, hanno declinato ogni responsabilità.

Nel frattempo, la grancassa del buonismo multiculturalista si è scatenata accusando il ministro dell’Interno di comportamento disumano. Ora, su una cosa si può concordare con l’esercito dei buonisti: la vicenda Sea-Watch 3 non deve finire nell’indifferenza dell’opinione pubblica. Mai come in questa occasione è doveroso prendere posizione nel merito e comunicarla, di modo che si capisca da quale parte stia la maggioranza degli italiani. Partiamo da un dato di fatto: la Sea-Watch 3 minaccia apertamente il potere sovrano dello Stato italiano. L’atto, finora solo annunciato, di forzare il blocco e di entrare comunque nel porto di Lampedusa nasconde una visione anti-statuale di cui alcune organizzazioni non-governative sono vessillifere. Nell’ottica dei centri di potere transnazionali, l’idea che uno Stato possa esercitare le prerogative annesse al concetto di sovranità quali, ad esempio, il principio di esclusività del comando, è ritenuta una pietra d’inciampo, residuato bellico della Storia Otto-Novecentesca.

Nella visione dei “benefattori” delle Ong, e dei loro munifici finanziatori, l’Italia è semplicemente un molo d’attracco, non un suolo innervato dal sangue dei padri. Le Ong, non riconoscendo dignità di patria alla propaggine mediterranea del vecchio Continente, negano il complementare baluardo valoriale della frontiera, del confine da marcare. E da difendere. Il limes, che definisce la configurazione morale e fisica di un contesto comunitario indipendente e sovrano, viene travolto dall’ideologia politica, pseudo-umanitaria, dell’abbattimento di tutti i confini e dall’instaurazione di un universalismo dell’indistinto, chiave di volta per l’inverarsi dell’utopia egualitaria. La logica egemonica che sorregge l’operazione “Sea-Watch 3” evoca la banalità del male ammantata di buoni sentimenti: il primato di un diritto degli allogeni alla sostituzione etnica che comprime ogni pretesa degli autoctoni a preservare il suolo patrio da invasioni migratorie non richieste e non autorizzate. Contro la deriva mondialista della circolazione incontrollata delle masse il ministro Salvini ha fatto muro. Ma i “buoni” hanno deciso d’impiegare i 42 migranti, presenti sulla nave, come scudi umani per infrangere le linee di difesa approntate dallo Sato italiano. Magari con l’aiuto di “quinte colonne”, annidate nei gangli delle Pubblica amministrazione, della magistratura e nel circuito dei media. A riguardo, non si può essere ambigui e neppure neutrali. Gli impatti del fenomeno migratorio ricordano quelli del terrorismo negli anni di piombo. In quelle drammatiche circostanze la classe politica trovò la forza di unirsi isolando coloro che, intellettuali radical-chic, amavano gigioneggiare con un slogan tanto stupido quanto pericoloso: “né con lo Stato, né con le Brigate Rosse”.

Oggi, al netto delle debite differenze, vale la medesima alternativa: o si è con lo Stato o contro di esso. Non trova alcun fondamento il giustificazionismo “buonista” alla violazione delle leggi. La nave Sea-Watch 3 non deve approdare nel nostro Paese. E pazienza per i malcapitati migranti che sono finiti in un braccio di ferro di certo non voluto dalle autorità italiane. Non c’è di che farsi commuovere, perché dietro la narrazione lacrimosa dei buonisti si scorge il piano d’attacco alla sovranità dello Stato, mediante la progressiva erosione dei suoi poteri esclusivi. È diritto dello Stato di difendere le frontiere, di escludere gli stranieri, di concedere e negare la cittadinanza. Tali potestà non sono nelle disponibilità delle Organizzazioni non governative. E la si pianti una buona volta con la balla del Canale di Sicilia frontiera d’Europa e non d’Italia. Quel tratto di mare del Mediterraneo meridionale diventerà frontiera dell’Unione quando vi sarà in Europa una vera unione politica. Per adesso quello è confine italiano e tocca al nostro Paese fronteggiare i tentativi d’invasione degli immigrati.

D’altro canto, se l’Unione europea fosse stata una cosa seria i Paesi sedicenti partner avrebbero fatto spallucce di fronte al dramma italiano della gestione dell’emigrazione clandestina e incontrollata dalle coste libiche? Il bello è che, per placare i loro sensi di colpa, alcuni governanti degli Stati più egoisti nel curare i loro interessi vorrebbero anche darci lezioni di umanità. Non osino. Già questa Europa ha fatto di tutto per farsi odiare, almeno si abbia la decenza di evitare che il clima degeneri col rischio della deflagrazione definitiva di un’Unione che a definirla tale ci vuole una gran bella fantasia. Se la Sea-Watch 3 riuscisse a scaricare il suo carico di umanità dolente nel porto di Lampedusa senza subirne le conseguenze penali e amministrative più severe, avendo agito in violazione di un ordine dell’autorità italiana dato in base alle leggi vigenti, non sarebbe la sconfitta politica di Salvini o del Governo giallo-blu ma la crisi dello Stato nella sua capacità di esercitare la sovranità territoriale.

Aggiornato il 27 giugno 2019 alle ore 10:50