Salvini a Washington per l’esame di maturità

Il viaggio di Matteo Salvini a Washington ha avuto un doppio significato. Per la politica italiana, è stata la legittimazione del capo riconosciuto del maggior partito italiano da parte dell’amministrazione americana. Il che non era affatto un tassello di geopolitica da considerare scontato. Per l’amministrazione statunitense, la chiamata a colloquio del leader leghista è servita ai più stretti collaboratori del presidente degli Stati Uniti per capire quali panni vesta il neo-riferimento trumpiano nel Paese europeo alleato. Matteo Salvini è stato ricevuto dal Segretario di Stato Mike Pompeo, icona del pragmatismo statunitense, che gli avrà chiesto spiegazioni su almeno tre questioni di politica internazionale che stanno a cuore agli americani: il tipo d’impegni presi dall’Italia con il gigante cinese, il Chavismo di risulta emerso in ambienti governativi italiani a seguito della crisi venezuelana e l’effettivo stato dei rapporti tra la Lega e il partito di Vladimir Putin.

Insomma, una sorta di esame di maturità che ci si augura Salvini abbia superato a pieni voti. Alla domanda sulla Cina il “Capitano” deve aver dato rassicurazioni che, con lui socio di riferimento del Governo giallo-blu, i rapporti con il gigante asiatico saranno limitati a qualche scambio commerciale. Perciò non vi saranno implicazioni strategiche che possano danneggiare gli interessi statunitensi. A riguardo dello sbandierato terzomondismo del Governo italiano, Salvini deve aver risposto che si è trattato di una fiammata dovuta alla presenza di alcuni “pasionari” movimentisti nella compagine grillina, ampiamente silenziati dal capo politico Luigi Di Maio dopo la batosta subita alle Europee del 26 maggio. Non è tuttavia da escludere che il “falco” Pompeo abbia chiesto a Salvini delucidazioni sulla posizione dell’attuale ministro della Difesa italiano, Elisabetta Trenta. Non essendo difendibili al cospetto dell’alleato americano le idee pacifiste della ministra grillina, è presumibile che Salvini se la sia cavata annunciando un cambio imminente al dicastero della Difesa nell’ambito del rimpasto di Governo.

Ma il vero tema dolente sarà stato il rapporto con la Russia di Putin. Lì Salvini non avrebbe potuto totalmente sconfessare la sua storia recente a pena di perdita assoluta di credibilità. I suoi selfie entusiasti dalla Piazza Rossa li hanno visti gli italiani, ma anche l’intelligence statunitense. Sull’argomento il leghista ha tentato un dribbling: rassicurare senza rinnegare. Salvini ha fatto pubblica manifestazione di fede trumpiana, mantenendo il punto sulla necessità di dialogare con Mosca per riportarla nell’alveo dell’Occidente piuttosto che spedirla tra le braccia dei capi di Pechino. Come materia facoltativa, Salvini ha portato all’esame il dossier Iran, assolutamente gradito a Mike Pompeo. La netta condanna del regime di Teheran deve essere assai piaciuta all’interlocutore statunitense.

Il test poi è proseguito con il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence. L’impatto simbolico dell’incontro è stato particolarmente forte perché Salvini è stato ricevuto da Pence alla Casa Bianca, il che equivale a un riconoscimento al massimo livello del ruolo politico dell’alleato italiano. Il presidente Donald Trump, non potendo accoglierlo personalmente senza compiere una grave sgrammaticatura protocollare, gli ha mandato a riceverlo nel giardino della Casa Bianca per la photo opportunity il suo vice. Di più non sarebbe stato possibile.

Ora, di là dai souvenir rimediati a Washington, che cosa di pratico porta a casa Salvini dalla sua vacanza-missione in terra americana? È improbabile che i vertici dell’amministrazione di Washington gli abbiano dato il via libera alla rottura dell’intesa con i Cinque Stelle e all’avventura delle elezioni anticipate. Piuttosto, gli americani, una volta convinti della fedeltà dell’alleato, potrebbero aver speso qualche parola rassicurante a proposito del presunto isolamento che l’Italia patirebbe nel consesso europeo in vista dell’esame dei suoi conti pubblici. L’amministrazione di Donald Trump ha molto a cuore la tenuta dell’alleato italiano sullo scacchiere mediterraneo e mediorientale. Non c’è solo la partita libica in ballo. Resta aperta la questione dell’avvicendamento di forze militari fresche nel teatro di guerra siriano, per il quale Washington vorrebbe un maggiore coinvolgimento dei militari del nostro Paese. Si è aggravata la tensione tra gli Usa e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, dopo che questi ha deciso l’acquisto del sistema di difesa aerea S-400 di fabbricazione russa. Washington ha minacciato Ankara di annullare l’intera commessa per l’acquisto degli F-35, se entro la data ultimativa del 31 luglio prossimo il Governo turco non avrà provveduto a disdire gli accordi presi con Mosca. Se il presidente Erdogan dovesse mantenere ferma la sua posizione, vi sarebbero ripercussioni inevitabili all’interno della Nato. Nel caso, Washington avrebbe bisogno di tutta l’affidabilità italiana per potenziare il fronte sudorientale del Mediterraneo, a rischio di scopertura a seguito del voltafaccia turco e della svendita delle infrastrutture portuali greche al gigante cinese. In vista di un tale scenario, Washington non potrebbe consentire che a Roma arrivasse una “Troika” a commissariare i conti italiani.

L’amministrazione Trump deve poter contare su un Governo alleato nel pieno dei poteri per affrontare scelte anche molto difficili. In proposito, ciò che Pompeo potrebbe aver promesso a Salvini all’esito del confronto-esame dell’altro ieri è l’impegno a svolgere una moral suasion nei confronti degli interlocutori europei di Washington, che non sono pochi e che al momento della conta a Bruxelles potrebbero tornare utili. Com’è noto, tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia sono entrati nell’Unione europea a corollario di un riposizionamento strategico in direzione della Nato e degli Stati Uniti, in particolare. Non è escluso che nelle prossime ore alle cancellerie di quei Paesi squillerà il telefono. E la chiamata arriverà dall’altra parte dell’Atlantico ed avrà ad oggetto un cambio di atteggiamento sui conti pubblici italiani.

A credere al buon esito della trasferta americana di Salvini non sono solo i suoi fans su Facebook, ma i mercati finanziari, che raramente si fanno prendere dall’entusiasmo. Il Btp decennale ha chiuso ieri a un rendimento al 2,11 per cento, ai minimi dall’insediamento del Governo giallo-blu mentre la Borsa di Milano ha chiuso con un forte rialzo al 2,5 per cento. Nell’euforia borsistica nostrana c’è anche un po’ di Salvini oltre alle dichiarazioni di Mario Draghi che ha aperto a nuovi stimoli monetari all’economia europea e all’annuncio di Trump di volere incontrare l’omologo cinese Xi Jiping, nel corso del prossimo G-20. Ma la chicca con cui il leader leghista si sarà congedato dai suoi nuovi amici di Washington riguarda il trattamento che l’italiano avrà promesso all’asse franco-germanico di Angela Merkel e Emmanuel Macron. I due leader europei, in questo momento, sono percepiti dall’amministrazione statunitense come alleati inaffidabili e avversari commerciali. Un’Italia declassata e messa sotto scacco favorirebbe la presa egemonica dell’asse carolingio sull’intera Unione europea, cosa che gli americani percepiscono come un pericolo. Perché non far valere la regola aurea per la quale il nemico del mio nemico è mio amico? Allora, good luck Matteo! Firmato Mike Pence e Mike Pompeo. E scusate se è poco.

Aggiornato il 19 giugno 2019 alle ore 10:28