Santità, non possiamo più dirci cristiani sennò ci accoppano. È la lezione che si trae dal massacro di cristiani nelle chiese e negli alberghi di Colombo, capitale dello Sri Lanka, e nella città di Negombo. Il conto delle vittime della Pasqua insanguinata nell’isola dell’Oceano Indiano è salito a 359 morti e 500 feriti. Ma si tratta di un bilancio provvisorio visto che non è cessato l’allarme per nuovi attentati. Il governo srilankese conferma la matrice jihadista della strage, attribuendo l’ideazione e l’esecuzione del piano al National Thowheed Jamath, un gruppo locale di terroristi gravitante nella galassia dell’Is, lo Stato islamico.
In un mondo normale non occorrerebbero altre informazioni per spingere le autorità politiche e religiose dell’Occidente cristiano a chiedere conto ai capi spirituali dell’Islam dello stillicidio di ammazzamenti di vite umane nel nome di Allah Akbar, che non cessa. In un mondo normale i leader dell’emisfero libero non proverebbero alcun imbarazzo a chiamare le cose con il loro nome. A dire che gli assassini sono musulmani e le vittime sono i cristiani. Ma non siamo in un mondo normale, quindi ci tocca assistere al rovesciamento della realtà.
Dobbiamo accettare, come fa notare Federico Punzi dalle colonne di “Atlantico”, che le icone liberal, Barack Obama e Hillary Clinton, “abbiano persino coniato una nuova e beffarda espressione pur di evitare di pronunciare la parola “cristiani”:..Easter worshippers (devoti della Pasqua) quasi fosse un nuovo e misterioso culto, un po’ esotico”. Ha ragione Punzi, siamo all’autocensura che sfocia nell’esaltazione masochista della propria debolezza spirituale. Si grida all’islamofobia se (di rado) un folle, sentendosi investito della missione dei crociati, fa danno in una moschea o causa morti innocenti tra i musulmani, ma mai si nomina la cristianofobia quando (sovente) siano fanatici jihadisti a fare strage di cristiani.
Ma cosa sta accadendo alla nostra civiltà di tanto perverso da farne smarrire senso, carattere e identità? Come l’apostolo Pietro che, impaurito, negò il Cristo altrettanto la civiltà occidentale, presa in ostaggio dai progressisti, nega se stessa, financo nel linguaggio, cosicché la qualificazione identitaria di cristiano non assurge alla parificazione con l’impronunciabile nome di Dio, ma sprofonda in un’immotivata vergogna per il proprio passato. La peste del multiculturalismo si è talmente infiltrata nelle menti degli “evoluti” occidentali da renderli ciechi di fronte alla realtà che continua a privilegiare la cifra dello scontro e della guerra tra civiltà a quella della tolleranza e del dialogo tra mondi diversamente strutturati ed eticamente orientati verso opposte direzioni. Si dirà: ma i terroristi musulmani sono un’esigua minoranza rispetto all’universo dei credenti nell’Islam. Vero, ma quante voci abbiamo sentito levarsi dal quel mondo per condannare senza riserve l’abominio delle stragi? Sarà pure un nostro limite uditivo ma non abbiamo colto una grande solidarietà dall’altre parte del muro di cinta della moschea. D’altro canto, perché chiedere conto alle guide spirituali dell’Islam se il problema lo abbiamo, per così dire, in casa nostra? Il Santo Padre avrebbe potuto spendere qualche parola in più per i morti ammazzati di Colombo e Negombo, invece di ripetersi nella solita filippica sui migranti. C’è un tema, nell’Oriente a maggioranza musulmana, che non può essere più taciuto e riguarda lo sterminio sistematico delle comunità cristiane, radicate da secoli nei territori a Sud e ad Est del Bacino del Mediterraneo.
Ne parla Giulio Meotti in un’intervista a Radio Radicale sul suo ultimo libro: “La tomba di Dio. La morte dei cristiani d'Oriente e l'abbandono dell'Occidente”. Meotti denuncia: “La scomparsa delle più antiche minoranze cristiane che parlano ancora la lingua di Gesù non ha generato emozioni nell’opinione pubblica occidentale, sempre pronta a mobilitarsi per altre cause. Nessuno in Occidente è sceso per strada con cartelli, il martirio dei cristiani orientali non ha interessato le autorità e i principali media”. Sarà che sono lontane dal nostro orecchio per cui l’eco del loro sacrificio ci giunge flebile, smorzato, impercettibile; sarà che l’Occidente vive un gigantesco complesso di colpa per il suo passato colonialista; sarà che non può essere la differenza di credo religioso la pietra d’inciampo al proliferare dei ricchi commerci e delle cointeressenze finanziarie con le potenti dinastie del petrolio, collegate per un qualche ramo alla discendenza dal profeta Maometto, certo è che la timidezza con la quale si affronta il problema della sicurezza di vite cristiane ogni qualvolta vi sia di mezzo la mano assassina dei fanatici islamici non è accettabile.
Forse, è proprio l’universalismo della Chiesa cattolica a non reggere il passo con il divenire della Storia. Forse, c’è bisogno di una Chiesa che sappia caratterizzarsi nel difendere la condizione identitaria dei propri fedeli. Forse, è giunto il tempo che una diversa Chiesa dia ascolto a quelle masse di credenti costrette a stare in un recinto spirituale trasformato nella succursale cattocomunista di una Onlus. Forse, è giunto il momento che ai piedi di quelle bare, in Sri Lanka, vadano a inginocchiarsi chierici che ancora conoscano la differenza tra essere cristiani e non esserlo. Forse, occorrono lacrime autentiche da versare su quelle vite spezzate e non distratti telegrammi di cordoglio, spediti dal davanzale di una loggia tra un Padre nostro e un predicozzo sull’accoglienza dei migranti. Forse, sono in molti a rimpiangere l’assenza del predecessore dell’attuale Papa, che non è ancora morto ma che è lì, semi-silente, all’interno delle Mura Leonine. No, si tolga il forse.
Aggiornato il 24 aprile 2019 alle ore 11:05