Leghisti e grillini: Achtung! Capolinea!

D’accordo che la disputa elettorale preveda un confronto senza esclusione di colpi, ma la rissa continua tra leghisti e grillini va fuori dal seminato. Matteo Salvini e Luigi Di Maio avrebbero dovuto darsi qualche punzecchiata per mostrare alla pubblica opinione l’esistenza di una diversità ideologica e strategica tra due forze politiche temporaneamente alleate di governo. Ma adesso si esagera. Non c’è argomento che non sia occasione di scontro.

Si prenda il caso della polemica scoppiata tra Salvini, ministro dell’Interno, ed Elisabetta Trenta, ministro della Difesa (quale incommensurabile errore cedere quel ministero a una grillina!). Quest’ultima avrebbe malamente reagito a una direttiva dell’Interno che diffida la nave Mare Jonio ad attenersi alle normative nazionali e internazionali vigenti in materia di attività di soccorso in mare. La pietra dello scandalo sarebbe quel “Le Autorità militari...destinatarie del presente atto ne cureranno l’esecuzione... e la stretta osservanza” che il ministro Salvini ha posto in calce al testo. Quanto basta per aizzare i vertici militari contro una supposta prova di regime nel porre la catena di comando delle Forze Armate sotto il controllo del Viminale. Una vicenda che si è trasformata in lite di strada tra bande di quartiere, che orrore! Entrambe le forze politiche, per giustificarsi, fanno credere di stare al gioco del botta-e-risposta per esclusivo profitto elettorale. E finora i sondaggi le hanno dato ragione. Ma stiano attente perché 37 giorni che ci separano dalle urne delle europee possono essere pochi, ma anche tanti. E a furia di spararsi addosso l’un l’altro, tutti e due i movimenti potrebbero ricevere il prossimo 26 di maggio una brutta sorpresa dall’elettorato, stufo di questo teatrino.

La sola fortuna che hanno Lega e Cinque Stelle è che le alternative, di sinistra e di centrodestra, sono inguardabili. Un comune cittadino, per quanto possa avercela con l’infantilismo politico dei nuovi padroni del carro governativo, non ce la fa proprio a dare credito a vecchi arnesi che non hanno avuto neppure l’astuzia di rischiare un minimo rinnovamento nell’offerta politica e nella classe dirigente. Se questo tempo presente ci condanna a tenerci l’anomalia giallo-blu, si faccia in modo che i protagonisti smettano la bagarre. Se non vi riescono, è più salutare che la compagnia si sciolga e vadano tutti a casa lasciando alla sovranità dell’elettorato la responsabilità di trovarsi una maggioranza parlamentare che faccia meno casino e che pensi esclusivamente a rimettere in piedi il Paese.

È fresca, in ordine di tempo l’ultima schermaglia tra Lega e Cinque Stelle. Riguarda le sorti del senatore Armando Siri, sottosegretario del Governo Conte alle Infrastrutture e Trasporti, in quota Lega. Il fedelissimo di Matteo Salvini e padre putativo della Flat Tax in salsa nostrana, da ieri mattina è indagato dalle Procure di Roma e di Palermo per un’ipotesi di corruzione. L’accusa è di aver intascato una mazzetta per favorire l’introduzione (che non c’è stata) nel quadro legislativo nazionale di alcune norme particolarmente favorevoli ad un imprenditore siciliano dell’eolico, in odore di mafia. La notizia non ha fatto in tempo ad uscire dalle redazioni dei giornali che già il capo grillino Luigi Di Maio si è precipitato a chiedere le dimissioni dall’incarico di governo all’interessato. Un calcare la mano a fini elettorali che il partner di governo Matteo Salvini non ha gradito. Dopo una prima risposta con la quale si prendevano le parti dell’indagato, dalla sponda leghista è arrivata la bordata di rappresaglia. La linea di tiro leghista si è concentrata su un’inchiesta condotta dal settimanale “l’Espresso” sull’Ama, l’azienda speciale di gestione dello smaltimento dei rifiuti della capitale, da cui emergerebbero responsabilità penali a carico della sindaca di Roma, Virginia Raggi. Ad accusare il sindaco di pressioni indebite sull’ex a.d. e sull’intero Consiglio d’Amministrazione vi sarebbe l’esposto presentato in Procura da Lorenzo Bagnacani, ex amministratore di Ama defenestrato dalla giunta capitolina. Se le circostanze addotte a motivo della denuncia dovessero trovare riscontro nelle indagini, lo scandalo sarebbe inevitabile per la sindaca Raggi. Ma i leghisti non hanno bisogno dei tempi della giustizia per decidere di prendere in ostaggio (politico) la sindaca grillina allo scopo di scambiarla con il sottosegretario leghista, appena fatto prigioniero dalla speciosa retorica giustizialista e manettara a corrente alternata della banda degli onesti pentastellati. Sembra come in un romanzo di spie di John Le Carré con Ponte Sisto sul Tevere trasformato nel “Checkpoint Charlie de’ noantri”. Cade Armando Siri, cade Virginia Raggi; si salva Siri, si salva la Raggi. Questa la nuova equazione di governo che un infuriato Salvini ha fatto recapitare all’omologo Luigi Di Maio. Ma la rappresaglia potrebbe non essersi esaurita visto che il Movimento Cinque Stelle sull’affare Siri ha aggiunto il carico da novanta. C’è stata la decisione del ministro Danilo Toninelli, dal cui dicastero dipende  Armando Siri, di ritirare al sottosegretario indagato tutte le deleghe conferitegli. Un atto dal forte impatto simbolico che non potrà essere digerito con facilità dalla controparte leghista. È probabile che questa notte, in casa grillina, non saranno pochi gli amministratori locali che non dormiranno sonni tranquilli nel timore di essere coinvolti nella rappresaglia leghista.

Intanto, con la guerra di Libia alle porte e l’Italia di Giuseppe Conte sempre più ziro di terracotta tra vasi di ferro, la baruffa domestica sfociata in rissa tra i gialli e i blu ha decisamente stancato. Alla vigilia della Pasqua si deve essere buoni per forza. Perciò, ci limitiamo a invitare le parti a darci un taglio facendo rispettosamente osservare che questa è l’Italia, non l’Actors Studio sulla 44esima a New York.

Aggiornato il 19 aprile 2019 alle ore 10:40