Il milazzismo giallo-verde che non può durare

L’unico precedente di due partiti attestati su posizioni antitetiche che si accordano per formare un governo è quello realizzato alla Regione Sicilia nel 1958 da Silvio Milazzo eletto a Presidente dell’Isola grazie ai voti del Partito Comunista Italiano e del Movimento Sociale Italiano. Milazzo era un democristiano contrario all’allora segretario Amintore Fanfani e riuscì a mettere insieme gli opposti rappresentati dai comunisti e dagli ex fascisti in nome dell’autonomismo siciliano minacciato dal centralismo fanfaniano.

Il milazzismo non ebbe vita lunga. Dopo qualche anno i comunisti riscoprirono l’antica avversione per gli ex fascisti e l’esperimento finì tra scandali ed infiltrazioni mafiose non senza aver dimostrato, anticipando il compromesso storico, che democristiani e comunisti potevano tranquillamente collaborare tra di loro.

Giuseppe Conte, ovviamente, non è Silvio Milazzo. Anche perché non è artefice della sua fortuna politica ma un semplice beneficiato della scelta grillina. Ma il Governo giallo-verde può essere considerato come un esempio di milazzismo, con due partiti che non sono stati scelti dagli italiani per governare insieme ma per competere da posizioni opposte e che solo dopo le elezioni hanno sottoscritto un patto di governo per evitare il voto anticipato ed una crisi di sistema.

Proprio perché esempio di una alchimia parlamentare e non di una scelta del corpo elettorale, l’esperimento giallo-verde è destinato a fare la fine del milazzismo. Ed a farla in tempi che rischiano di essere accelerati dalla campagna elettorale delle elezioni europee di fine maggio. Perché la competizione elettorale accentua la differenze e le distanze non tra i leader dei due partiti ma tra gli elettorati delle due forze politiche. E mentre le distanze tra Salvini e Di Maio possono essere facilmente colmate da una pizza condita dal sugo del potere, quelle tra due mondi socialmente e culturalmente alternativi diventano dei baratri insuperabili. Nessuno dubita che fino al 28 maggio leghisti e grillini possano continuare a combattersi a parole rinviando la soluzione dei problemi a data da destinarsi. Ma dopo il voto, quando si tratterà di decidere sulla Tav, sulla prescrizione, sulle infrastrutture, sull’ambiente e su qualsiasi altro argomento oggi oggetto di campagna elettorale, i veleni del presente agiranno pesantemente sui rispettivi corpi elettorali rendendo impossibile la convivenza governativa. Come all’epoca del milazzismo!

Aggiornato il 09 aprile 2019 alle ore 10:47