Basilicata coast to coast

Il vento sulle regioni fischia da destra. Anche in Basilicata. Dopo 24 anni d’ininterrotto dominio del centrosinistra la piccola regione del Mezzogiorno d’Italia cambia segno passando al centrodestra.

Il risultato conseguito domenica nella “Emilia del Sud” ha un connotato di eccezionalità che non può essere derubricato a ordinario prodotto della logica dell’alternanza in un bipolarismo democratico. In primo luogo perché non siamo tornati pienamente allo schema delle due grandi coalizioni che si contrappongono, atteso che il MoVimento Cinque Stelle, sebbene in caduta di consensi, è ancora vivo e vegeto e gioca la sua partita. In secondo luogo, perché a differenza che nella “Seconda Repubblica” gli spazi che dovrebbero contenere le forze coalizzate del centrodestra e del centrosinistra non sono recintati, nel senso che vivono la medesima fluidità propria delle sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie da cui si esce e in cui si entra liberamente. In particolare nel centrodestra, dove la disinvoltura con la quale la Lega intesse le proprie alleanze a diversi piani istituzionali contraddice l’idea stessa di coalizione del tipo di quelle conosciute nel quarto di secolo appena trascorso. In terzo luogo, perché la cifra distintiva della politica lucana, anche quando si è marcata a sinistra, ha salvaguardato una natura moderata di stampo vetero-democristiano. Con la votazione della scorsa domenica, invece, il consenso si è polarizzato significativamente su forze politiche oltranziste. Una somma lo dimostra. A destra la Lega al 19,5 per cento, Fratelli d’Italia al 5,91 per cento; a sinistra il rassemblement dei gruppuscoli radicali al 4,37 per cento; il Cinque Stelle al 20,27 per cento. Il totale di queste realtà, il cui comune denominatore è il contrasto alle forze moderate considerate espressione dell’establishment globalista, dà un rotondo 50,05 per cento. Specularmente, non può sfuggire la bocciatura patita dal Partito Democratico e da Forza Italia.

Il Partito Democratico post-renziano ha rimediato una batosta spaventosa: 22.423 preferenze di lista pari al 7,75 per cento. Il partito-simbolo del potere in Basilicata è stato pressoché spazzato via se si considera che alle precedenti elezioni regionali del 2013 aveva raccolto 58.730 voti, pari al 24,84 per cento. I dirigenti “dem” si sono giustificati spiegando che il consenso si è distribuito tra più liste comunque afferenti alla medesima area politica. A conferma è stato evidenziato il dato della lista “Avanti Basilicata” direttamente ispirata e organizzata dai fratelli Gianni e Marcello Pittella, storici ras piddini della regione lucana. “Avanti Basilicata” ha ottenuto 24.957 preferenze, pari all’8,63 per cento, che dal Nazareno si vorrebbe venissero idealmente sommate a quelle del Pd. Ma si tratta di una finzione, per di più errata dal momento che anche alle regionali del 2013 nella coalizione del centrosinistra era stata presente una lista che faceva espresso riferimento a Marcello Pittella. “Pittella presidente” raccolse 37.861 voti (16,01 per cento). Quindi, la giustificazione addotta a spiegazione del tracollo elettorale non regge.

Discorso analogo è stato fatto dalle parti di Forza Italia. I forzisti hanno trascorso la giornata di ieri a enfatizzare una supposta tenuta della componente moderata nell’ambito della coalizione del centrodestra. Ma non è la realtà. I risultati ottenuti dalla lista “Idea - un’altra Basilicata” (12.094 voti - 4,18%) e dalla lista “Basilicata Positiva Bardi Presidente” (11.492 - 3,97%) non sono meccanicamente sommabili a quelli di Forza Italia. “Idea” di Gaetano Quagliariello ha corso col gruppo di “Noi con l’Italia” alle elezioni politiche del 2018 conseguendo nella circoscrizione lucana per la Camera dei deputati il 3,02 per cento e 9.468 preferenze.

La lista del presidente Bardi, invece, aderisce a una prassi consolidata alle regionali e tesa a consentire ai candidati presidenziali la raccolta di un consenso alla persona svincolato dagli apparati organizzati dei partiti. In soldoni, i voti dati all’ex-generale della Guardia di Finanza Vito Bardi non è provato che sarebbero andati in egual misura ad un altro candidato scelto al suo posto dalla coalizione di centrodestra. Forza Italia deve fare i conti con numeri impietosi: 26.457 voti pari al 9,4 per cento. Un crollo secco rispetto alle 38.906 preferenze (12,40%) delle politiche del 2018 e ai 29.022 voti (12,27%) totalizzati come Pdl alle regionali del 2013. Il vento favorevole al centrodestra, il crollo di credibilità dei Cinque Stelle, la crisi conclamata del Pd avrebbero dovuto favorire la risalita del movimento berlusconiano anche rispetto al prevedibile sfondamento nei consensi della Lega. Non è andata così. E qualcuno dovrà cominciare a domandarsi il perché di tale perdita di appeal presso l’elettorato. La sensazione che si avverte è che la dirigenza forzista si ostini a negare la realtà. I messaggi che dal 2018 gli elettori stanno inviando alla classe politica sono chiarissimi. Il valore che viene premiato nelle urne è quello della coerenza. Ciò spiega il trionfo di Matteo Salvini a tutte le latitudini, indipendentemente dai contenuti specifici della sua offerta programmatica. Al contrario, i comportamenti contraddittori sono pesantemente penalizzati.

L’opinione pubblica in diverse occasioni ha colto una discordanza tra il messaggio politico berlusconiano e i comportamenti concreti della classe dirigente forzista non reputandoli in linea con gli standard richiesti oggi alla rappresentanza politica. La crisi di comunicazione tra eletti ed elettori di Forza Italia non si risolve dando dei “coglioni” a coloro che guardano con attenzione all’azione di governo dell’odierna maggioranza parlamentare. È bene che in Forza Italia si faccia autocritica e, soprattutto, si scelgano strategie comunicative orientate all’ascolto dei cittadini piuttosto che agli insulti gratuiti e ingiustificati se non si vuole restare travolti alle prossime elezioni europee.

Aggiornato il 26 marzo 2019 alle ore 10:46