Per arginare Bergoglio torna l’anticlericalismo

La riflessione che propone Arturo Diaconale nel suo editoriale di ieri, intitolato “Se la Chiesa diventa l’artefice del nuovo fronte popolare”, è molto suggestiva. Il direttore, prendendo spunto dall’insorgere di un novello manicheismo nella realtà italiana proteso a soppiantare la categoria del politico con le discriminanti morali del Bene e del Male nell’esercizio del governo della nazione, approda a una considerazione interessante. Se nel passato a ricorrere al paradigma del nemico politico incarnazione del male assoluto da sradicare dal corpo vivo della società erano stati i comunisti, in tutte le loro declinazioni ideologiche, nel tempo storico presente a farsi carico di ristabilire l’inconciliabilità ontologica tra l’esercito degli autoproclamati portatori del Bene ed il Male consegnato all’immaginario collettivo della narrazione popolare con i tratti della disumanità propria dei pensieri totalitari, razzisti, liberticidi, sono quei cattolici progressisti che “hanno alle spalle il sostegno e la copertura dei massimi vertici della Chiesa ormai decisi ad intervenire nella situazione politica italiana promuovendo la rinascita di un nuovo partito di cattolici allineato alle posizioni di Papa Bergoglio”.

Dalla rappresentazione delle dinamiche in atto per l’egemonia all’interno dell’universo cattolico Diaconale trae il convincimento che occorra ritornare ad un sano anticlericalismo di matrice liberale, già sperimentato da incubatore dello spirito risorgimentale nel processo di unificazione dell’Italia. Auspicio legittimo se rapportato agli obiettivi “visibili” che la nuova Chiesa di Bergoglio si propone di conseguire. Per essere più espliciti, la visione integralista del fenomeno migratorio ispirata dal pensiero bergogliano è soltanto uno degli indicatori che segnalano l’esistenza di un’istanza di riappropriazione della temporalità, crescente tra le gerarchie ecclesiastiche.

Papa Francesco non è affatto un innovatore. Al contrario, mostra i tratti evidenti del restauratore di un apparato di potere che reclama una dimensione spaziale per dispiegare tutta la sua potenza. Non parliamo di antistoriche pretese di ricostituzione dello Stato pontificio nei termini in cui esso era configurato prima della breccia di Porta Pia. L’ambizione odierna si focalizza sulla riconquista indiretta del territorio attraverso il canale politico della ricostituzione di un partito dei cattolici posto alle dirette dipendenze delle gerarchie ecclesiastiche. Non si tratta di una visione rivoluzionaria del ruolo della Chiesa di Cristo sulla terra, ma l’attualizzazione di un pensiero antico presente nell’ecclesiologia risalente alla patristica e sistematizzato dalla Chiesa della Controriforma del cardinale Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa, gesuita come Bergoglio e grande inquisitore di Giordano Bruno. Bellarmino teorizza il rifiuto della separazione, proposta dai Riformatori, tra il visibile e l’invisibile nella Chiesa, cioè tra la dimensione immanente/materiale e quella trascendente/spirituale. Egli scrive: “La Chiesa è la comunità degli uomini raccolti mediante la professione della vera fede, la comunione degli stessi sacramenti, sotto il governo dei legittimi pastori e principalmente dell'unico vicario di Cristo sulla terra, il romano pontefice”. Per Bellarmino l’effettiva presenza del dono di Dio si misura sull’oggettiva estensione della comunità dei credenti, essendo la Chiesa “comunità di uomini così visibile e palpabile come la comunità del popolo romano, o il regno di Francia, o la repubblica di Venezia”.

Bergoglio sicuramente deve aver letto le “Controversiae” di Bellarmino e recepito il senso degli scritti del suo illustre confratello. Da lui Bergoglio eredita l’idea di assicurare, oltre a un popolo, un regno materiale alla parola di Dio. E questo luogo, privato dei contenuti simbolici/iniziatici della Gerusalemme celeste, non può che essere l’Italia, per evidenti ragioni storiche e geopolitiche. Ma come averlo? Non certo rifacendo la Democrazia Cristiana, la quale tra i molti demeriti ebbe senz’altro il merito di rispettare il comandamento sturziano che inquadrava l’unità dei cattolici in politica tenendo rigorosamente ferma la separazione tra laicità dello Stato e osservanza dei precetti religiosi. Ciò consentì che l’Italia del secondo dopoguerra potesse ricostruirsi senza correre il rischio di trasformarsi in uno Stato confessionale. L’odierna Chiesa di Bergoglio non va nella medesima direzione indicata dai suoi predecessori più recenti. Sotto le mentite spoglie di un afflato umanitarista fa capolino un pericoloso integralismo pauperista che oggi misura la sua forza sul tema dell’accoglienza della migrazione, ma domani andrà all’attacco delle visioni liberali del progresso dell’umanità e del diritto, iscritto nella storia della civiltà occidentale, del singolo individuo di costruire il proprio destino distinto e diseguale da quello di ogni altro essere umano.

Per raggiungere tale obiettivo Bergoglio non può contare sull’obbedienza cieca di una generazione di fedeli educati alla scuola del cattolicesimo liberale e nazionale, erede diretto del pensiero politico-religioso di don Luigi Sturzo. Tuttavia, per la sua crociata anti-occidentale Bergoglio può arruolare “l’esercito di riserva” del comunismo internazionale occultatosi, dopo la caduta delle sue roccaforti mondiali, sotto le insegne del terzomondismo e dell’ortodossia multiculturalista. Così che i nuovi capitani di ventura che guideranno le armate bergogliane del neo-frontismo popolare, a immagine del modello fallimentare praticato nel lontano 1948 dalle sinistre, non saranno soltanto chierici e prelati ma laici, magari impenitenti senza-Dio. Si chiameranno Vauro, Laura Boldrini, Gino Strada, Leoluca Orlando, Roberto Saviano o Mimmo Lucano ed a loro sarà affidato il compito di riconquistare l’Italia non per conto del trono ma dell’altare. Se dovesse essere confermato il progetto sarà inevitabile una profonda spaccatura all’interno dell’ecumene cattolica. La gente comune, con i suoi parroci, diaconi e presbiteri che servono messa nelle lande desolate come sulle impervie pendici delle montagne, sarà disposta a seguire il Papa della sovrapposizione del trono all’altare?

Ha ragione Diaconale, rinverdire l’anticlericalismo a questo punto non è l’operazione nostalgia di quattro personaggi ottocenteschi creati dalla vivida fantasia di un romanziere ma un momento concreto di resilienza civile della modernità. Un atto di legittima difesa del liberalismo politico.

Aggiornato il 23 gennaio 2019 alle ore 10:35