Il tramonto del Pd e la conferma del centrodestra

Il turno di ballottaggio delle amministrative del 24 giugno definisce, in maniera inequivocabile, l’attuale quadro politico del Paese. Dopo una lunga fase iniziata il 4 marzo e proseguita con le regionali si arriva alla certificazione di un nuovo approdo. Il centrodestra unito è ampiamente maggioritario in tutta Italia. I pentastellati, nei comuni, hanno subito un ridimensionamento che avevamo previsto. Infine, è giunto l’inevitabile tramonto del Partito democratico. La “Cosa rossa” nelle regioni “rosse” non esiste più. Comuni governati da sempre dalla sinistra ora vengono espugnati dal centrodestra. Già. Si badi bene. Non esclusivamente dalla Lega. Ma da tutte le forze cattoliche, liberali e conservatrici: Forza Italia, Fratelli d’Italia, Noi con l’Italia. E, naturalmente, il partito guidato da Matteo Salvini che, in questo periodo politico, si definisce quale forza trainante del blocco moderato. In autunno, il ministro dell’Interno potrebbe decidere di chiudere l’esperienza di coabitazione con i vacui e moralisti grillini e dare il via ad una nuova stagione di governo di centrodestra. Lo invocano i cittadini. Lo prevede la Storia. In quella fase, Forza Italia, ringalluzzita dal ritorno sulla scena del presidente Silvio Berlusconi, potrebbe finalmente elaborare il lutto prodotto nell’infausto novembre 2011. Quando, il governo Berlusconi, l’ultimo democraticamente eletto nel nostro Paese, fu disarcionato per via di una manovra di Palazzo ordita dalle consorterie politico-finanziarie europee. Subito dopo, con le successive elezioni del 2013 Berlusconi venne, addirittura, estromesso dal Parlamento. Ebbene, è arrivato il momento di fare i conti con quelle giornate drammatiche. Mai ampiamente assorbite dal nostro popolo ed elaborate dalla nostra classe dirigente.

Per queste ragioni, i commentatori, anche coloro i quali sono tradizionalmente più avvertiti, hanno commesso un grave errore di valutazione accomunando i destini del Pd e di Forza Italia. Gli azzurri, seppure in una fase di temporanea flessione, persino tra alti e bassi, sono sempre riusciti a mantenere viva la coalizione moderata. I risultati sono evidenti a tutti. Il partito è vitale, nonostante sia stato privato, per anni, della spinta propulsiva rappresentata dal leader e fondatore. Con Berlusconi di nuovo in campo, Forza Italia contenderà, in una dinamica virtuosa, la leadership del centrodestra alla Lega. Per il Pd, la storia è assolutamente diversa. Il partito della “fusione fredda” tra Ds e Margherita è stato salutato dal lungo addio decretato dagli elettori. Ma, se l’ex segretario Pierluigi Bersani, da cui divergiamo sia sul piano politico che antropologico, ha avuto il pregio di manifestare, con garbo e senza infingimenti, l’idea sbagliata di una società vetero-marxista, Matteo Renzi, novello Narciso di questa interminabile fase di transizione della politica italiana, ha provato a costruire, persino forzando la Costituzione, un Paese a sua immagine e a somiglianza del suo “cerchio magico”. Per fortuna, il Paese ha fermato il ciarlatano. Verranno altri leader progressisti o sedicenti tali. Celebreranno, forse, un collettivo “Mea culpa”. Ma ormai il popolo è scappato. Non esiste più la dorsale appenninica tinta di rosso. Il popolo sembra essersi riappropriato di un ragionamento dialettico. Ma tra destra e sinistra. Sì, perché si registra un fatto apparentemente nuovo. I grillini, seppure felici, sembrano, sul lungo periodo, destinati a tornare nell’ombra dell’astensione. Come per una sorta di idea dell’eterno ritorno di matrice nietzschiana, centrodestra e centrosinistra torneranno a confrontarsi. Sarà proprio così. I risultati delle amministrative consentono e giustificano quella che non appare come una semplice scommessa. Ma rappresenta, piuttosto, un’autentica analisi.   

      

 

Aggiornato il 26 giugno 2018 alle ore 18:15