La proposta indecente

La fase di formazione del nuovo governo si anima per effetto di un intervento a gamba tesa del capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, alla vigilia delle consultazioni al Quirinale.

Il leader pentastellato lancia agli interlocutori la sua personale “proposta indecente”. Si dice pronto al dialogo con la Lega o, in alternativa, con il Partito Democratico a patto però che la prima rinunci all’intesa con Silvio Berlusconi e il secondo stacchi la spina a Matteo Renzi.

A tutto c’è un limite, anche alla fantasia. Come si può legittimamente chiedere a qualcuno di fare un’alleanza basandola sul tradimento dei propri sodali? Quando poi è noto che l’ipotetico tradimento, categoria tutt’altro che sconosciuta ai frequentatori della politica, dovrebbe essere consumato non a vantaggio ma in danno dei “traditori” medesimi. Perché mai Matteo Salvini, che trae la sua maggiore forza contrattuale dal fatto di rappresentare non un partito ma una coalizione vincente, dovrebbe acconciarsi a fare da ruota di scorta a un Di Maio trionfante? E con quali garanzie di vedere rispettati i propri punti programmatici dall’azione di un governo a guida Cinque Stelle? È bizzarro immaginare Salvini tenere bordone ai grillini nell’approvare la discutibile riforma del reddito di cittadinanza nel segno di un ritrovato assistenzialismo di Stato e, in contemporanea, sentirsi rispondere picche su un pacchetto di misure, dalla Flat tax ai respingimenti degli immigrati clandestini, che costituiscono il core business dell’offerta politica leghista. Avverrebbe la stessa cosa se il prescelto ad accomodarsi al desco del Cinque Stelle governativo fosse un Partito Democratico derenzizzato. Cosa ne otterrebbero i “dem”? Di assistere, impotenti, allo smantellamento dell’intero processo riformatore portato avanti in questi anni dal centrosinistra. Al Pd verrebbe chiesto qualcosa di più di un’abiura sui principali cavalli di battaglia della propria politica. Agli obiettori di coscienza del renzismo verrebbe riservata la mansione tipica dei monatti: trasportare al rogo e appiccare il fuoco alla pira sulla quale bruciare i provvedimenti più controversi approvati nella scorsa legislatura. Un po’ troppo anche per dei piromani.

Allora, ci si chiederà, se la proposta era in sé palesemente irricevibile, perché Di Maio l’ha ugualmente presentata? Si tratta di banale pretattica. Il giovane leader pentastellato, avendo piena consapevolezza delle difficoltà che vi sono nel trovare la quadra su un governo sostenibile, prova a prendere in mano il boccino per dare la plastica sensazione che sia lui il “dominus” della partita in corso e che intorno alla sua persona debbano ruotare tutte le possibili opzioni. Un modo astuto per convincere amici e nemici che: “Tutto può essere tolto dal campo di gioco tranne il predestinato a palazzo Chigi”. Di là dalle buone intenzioni è del tutto evidente che si tratti di un escamotage neanche tanto raffinato. Checché voglia far credere Di Maio oggi il titolare del boccino è soltanto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Spetta a lui tessere la trama di un governo che abbia la fiducia del Parlamento per durare e non per naufragare alla prima increspatura del mare.

Ci sta, dunque, che prima del confronto vero gli sfidanti facciano qualche mossa per disorientare gli avversari. Ma attenzione! Di troppo tatticismo si muore. Con l’offerta fasulla presentata al Pd e alla Lega il giovane Di Maio, nell’ansia di apparire più furbo degli altri, ha compiuto un gratuito gesto di autolesionismo mostrando il fianco scoperto della scarsa credibilità grillina. In concreto, Di Maio ha fatto sapere al mondo che nella sua ottica destra o sinistra pari sono. Il che è un non-senso quando dalle alchimie delle formule si passa al pragmatismo delle cose da fare. Come può sostenere che un accordo di programma possa essere pattuito e realizzato indifferentemente con Salvini o con i “dem”? Ad esempio, sulla Legge Fornero lui con chi sta? Con Salvini che la vuole abolire totalmente o con i “dem” che invece la difendono? Di Maio pensa forse di cavarsela con le buste chiuse care a Mike Bongiorno? Busta 1, busta 2, busta 3. A seconda dell’interlocutore che ci sta a votare la fiducia alla sua premiership il “Movimento” decide se essere: pro-Fornero (busta n.1), anti-Fornero (busta n.2), a-Fornero (busta n.3). Lo stesso varrebbe per tutte le altre riforme che il Paese attende: dalle politiche sulla sicurezza a quelle sul lavoro. Per non parlare del posizionamento strategico dell’Italia sullo scacchiere geopolitico internazionale. E sull’euro? Busta n.1: si resta; busta n.2: si esce; busta n.3: si sta un po’ fuori e un po’ dentro. Se questo è il profilo del nuovo governante, siamo messi male.

Grazie comunque a Luigi Di Maio che, mostrando per tempo i suoi contorsionismi spericolati da “proposta indecente”, ha dato modo all’opinione pubblica di comprendere di che materia sia fatta l’inconsistenza del grillismo applicato alla vita quotidiana degli italiani. Che sia anche una preziosa indicazione per il presidente Mattarella sul chi non incaricare per la poltrona di Palazzo Chigi? Francamente, lo auspichiamo. La guida di un Paese come l’Italia è un peso troppo grande da mettere sulle spalle di un nano politico. Anche se giovane e scaltro.

Aggiornato il 05 aprile 2018 alle ore 13:46