Disastro Catalogna: ora serve il negoziato

Le urne referendarie in Catalogna non hanno consacrato alcun vincitore ma soltanto una folta schiera di sconfitti. Si è trattato di un disastro annunciato che interroga non soltanto l’insipienza e la scarsa qualità della classe dirigente spagnola nel suo complesso, da Madrid a Barcellona, ma coinvolge l’intero progetto europeo.

Quei poliziotti in tenuta antisommossa spediti dalla capitale nella ribelle terra catalana a ripristinare la legalità e l’ordine costituzionale, anche al prezzo di usare violenza su anziani e pompieri, sono stati un errore politico irreparabile da mettere in conto al leader di governo, Mariano Rajoy. Si poteva tranquillamente evitare di fare di Barcellona una città violata portandola all’attenzione del mondo per un deficit di democrazia.

Non è solo questione d’immagine. La mancata gestione del problema catalano valica i confini spagnoli. Il pericolo concreto è che le urne indipendentiste, celebrate la scorsa domenica con un esito gonfiato dal comportamento inutilmente repressivo del governo centrale, potrebbero dare la stura al riaccendersi di una miriade di illusioni separatiste e alla risurrezione dell’ideologia delle “piccole patrie”. Il Novecento è stato il secolo della caduta degli imperi. Non vorremmo che il nuovo millennio venisse ricordato come il tempo storico della disintegrazione degli Stati. Gli indipendentisti d’Europa, catalani compresi, credono nel paradosso che una dimensione nazionale, differente da quella statuale, possa esistere e prosperare nell’ambito della più ampia entità sovranazionale che è l’Unione europea. Niente di più errato giacché questa Europa, sia giuridicamente sia politicamente, non appartiene ai popoli ma agli Stati che la compongono. Bruxelles funziona per regolare il mercato unico interno, non per offrire opportunità di sviluppo e sovvenzioni economiche alle piccole patrie.

Non è un caso se in tutta la vicenda del referendum abbia pesato come un macigno l’assordante silenzio delle autorità centrali dell’Unione. Dov’erano Jean-Claude Juncker e Federica Mogherini nelle ore dell’acme della crisi? Sono rimasti muti come i pesci dell’Aquarium di Barcellona. Rajoy avrebbe fatto meglio a depotenziare l’effetto dirompente della consultazione referendaria giocando successivamente la partita dell’incostituzionalità dell’iniziativa in punta di diritto e nelle sedi giurisdizionali appropriate. Domenica hanno votato meno della metà degli aventi diritto. Una contestazione portata sul piano dello scontro politico, mostrando ai catalani anche il rovescio della medaglia del sogno indipendentista, avrebbe creato molti dubbi che si sarebbero tradotti in un più forte astensionismo. Invece, aver messo la questione sul piano della repressione ha spinto molti indecisi a schierarsi dalla parte dei secessionisti per evidenti ragioni di solidarietà, sebbene fossero incerti sulla bontà del progetto separatista.

Dire, come hanno fatto alcuni spettatori europei interessati al successo catalano, che le ragioni della divisione affondano nella storia, facendone risalire la voglia di riscatto al 1714 e agli eventi bellici che portarono la Castiglia di Filippo V di Borbone a piegare la resistenza delle truppe della Coronela catalana schierate al fianco del pretendente al trono di Spagna, l’asburgico Carlo VI, non è la verità. Come ha spiegato in queste ore il quotidiano madrileno El Pais, quella che culminò con l’assedio di Barcellona non fu guerra di secessione ma lotta di successione. Le motivazioni che oggi spingono i catalani a volere la separazione sono principalmente economiche e fiscali. La Catalogna è la regione che produce il 20 per cento del Pil spagnolo. I settori trainanti sono il turismo e la produzione industriale. Ha un forte export. Per questo non ci sta a trasferire buona parte della ricchezza prodotta al sistema centrale. Vorrebbe più autonomia come da tempo godono le province basche e la Navarra. Rajoy avrebbe dovuto trattare su questo e non rendersi sordo a ogni richiesta di dialogo delle autorità della Catalogna. Ora che la frittata è fatta bisogna evitare che gli eventi precipitino. Le prossime ore saranno decisive. Oggi è stato proclamato lo sciopero generale in tutta la Catalogna. È necessario che non si arrivi alla dichiarazione formale d’indipendenza. Rajoy smetta di fare il burocrate ottuso e si sbrighi ad aprire un negoziato serio e leale. Qui non è in gioco solo l’avvenire della Spagna. A rischiare il collo è tutta l’Europa. Il signor Rajoy sarà pur libero di fare di testa sua a casa propria ma non se le conseguenze delle sue azioni le paghiamo anche noi. Per questa ragione tutte le parti in causa si sbrighino a darsi una regolata. Che già non ne possiamo più.

Aggiornato il 03 ottobre 2017 alle ore 18:17