Le malattie degli immigrati e la sanità pubblica

Non è certo colpa dei bambini del Burkina Faso se la piccola Sofia è stata contagiata dalla malaria che l’ha uccisa. Prendere a pretesto la vicenda per lanciare l’ennesima campagna contro l’immigrazione è grossolano. E, soprattutto, non tocca minimamente il problema di fondo sollevato dal caso della povera Sofia. Che non è solo quello di come funzionano i controlli sanitari al momento dell’ingresso nel nostro Paese. Ma è anche e soprattutto quello di quanto un sistema di controlli efficace possa gravare sul Servizio sanitario nazionale.

Il tema di quanto possa incidere l’immigrazione non controllata e gestita sulla sanità pubblica è da sempre un tabù. Sollevarlo significa correre il rischio di venire accusati di razzismo, di islamofobia, di oscurantismo e chi più ne ha più ne metta. Ma il problema c’è. E la conferma più clamorosa viene dalla scelta del Governo Gentiloni di rendere obbligatori i vaccini per tenere sotto controllo malattie che fino agli anni scorsi sembravano scomparse nella penisola e che sono inevitabilmente riapparse dopo che i flussi di migranti provenienti da zone del mondo, dove alcune malattie risultano essere endemiche, sono diventati sempre più intensi.

Il realismo e la concretezza non hanno nulla a che fare con il razzismo, l’islamofobia, l’oscurantismo e qualsiasi altro tipo di insulto. La questione sanitaria posta dalla trasmigrazione di malattie esiste. E solo una concezione ideologica e ipocrita dell’accoglienza, che salva la coscienza ma moltiplica a dismisura le difficoltà sociali, può continuare a rimuovere e a negare.

Il Servizio sanitario nazionale è in grado di reggere il peso di un problema che non è più un’emergenza ma che è diventato una costante ormai fisiologica? Può sopportarne i costi ed è adeguatamente strutturato per poter tenere sotto controllo il fenomeno? E inoltre, tenendo conto che buona parte dei migranti viene stipata in centri d’accoglienza privi di attrezzature sanitarie adeguate e che rischiano di diventare il terreno di coltura delle malattie delle zone d’origine, come può misurarsi con una realtà carica di tanta e grave pericolosità?

Il buon senso non è razzista. È solo buon senso!

Aggiornato il 08 settembre 2017 alle ore 19:05