Un programma di governo con l’umanesimo liberale e laico

“Rinascimento, Risorgimento, Ripartenza”. Non ha bisogno di grandi spiegazioni il titolo dato alla festa per i 170 anni de “L’Opinione” celebrata alla Versiliana di Marina di Pietrasanta. La tesi che vuole esprimere è semplice. Non ci può essere ripartenza per il nostro Paese se non si prende forza dai valori fondanti del Rinascimento e del Risorgimento, le due epoche che per motivi diversi e, per quanto riguarda la condizione politica della penisola, addirittura opposti, rappresentano insieme con la lunghissima fase della civiltà romana, i momenti più alti ed esaltanti della storia nazionale e occidentale.

Politicamente il Rinascimento e il Risorgimento appaiono esperienze antitetiche. È nella fase rinascimentale che, su richiesta e sollecitazione delle piccole e litigiose signorie italiane, il nostro Paese diventa il terreno dove per i tre secoli successivi le grandi potenze europee esercitano le loro spinte egemoniche e si dividono le spoglie della penisola. Ed è nel Risorgimento che questo meccanismo viene interrotto con la lunga e tormentata formazione dello stato nazionale. In termini strettamente politici, il Risorgimento sembra essere il momento di riparazione dei disastri avvenuti nel Rinascimento.

Ma dietro questa apparente antinomia c’è la considerazione che le due epoche storiche hanno una comune matrice culturale. L’umanesimo rinascimentale, con la riscoperta del valore dell’uomo che era stato al centro dell’età classica e che era stato soppiantato dal valore della trascendenza religiosa nell’età medioevale, si ripropone in maniera prorompente della fase risorgimentale assumendo quei connotati liberali che costituiscono la forza vitale del processo di formazione dello stato unitario.

È a questa comune matrice, quella dell’umanesimo liberale, che si deve necessariamente fare riferimento per creare le condizioni per una “Ripresa” del Paese che non si limiti a segnare solo l’uscita dalla grande crisi dei primi anni del terzo millennio, ma sappia indicare la rotta da seguire per un cambiamento radicale capace di impedire la caduta definitiva in un declino del tutto simile ai tre secoli che hanno separato il Rinascimento dal Risorgimento.

Oggi come allora, quindi, il cambiamento può essere assicurato solo dall’umanesimo liberale. Un umanesimo che, alla luce dell’esperienza degli ultimi due decenni, supera la proposta della rivoluzione liberale lanciata dal centrodestra del 1994 e si pone come la logica continuazione di quella esperienza. Una continuazione segnata dalla presenza, allora come oggi, della leadership di Silvio Berlusconi. Nella consapevolezza che al centro del cambiamento provocato dalla rivoluzione liberale non ci può essere la legge astratta e schematica di un mercato troppo condizionato da interessi finanziari globali e incontrollabili, ma il valore etico e morale dell’individuo inteso come il centro e l’artefice primario della società aperta nata dalla storia e della cultura dell’Occidente.

Bilanciare il valore del mercato con quello dell’uomo non significa rinunciare alla libertà del mercato ma non dimenticare mai che questa libertà non può essere il privilegio di pochi a danno dei tanti ma lo strumento indispensabile per assicurare il riconoscimento del merito e la soddisfazione dei bisogni ad ogni individuo senza distinzione alcuna.

L’umanesimo liberale riconosce il problema sociale posto in particolare dal fenomeno del progressivo ritorno alla condizione proletaria dei ceti medi del mondo occidentale. Fenomeno provocato dallo spostamento di ricchezza prodotto dalla globalizzazione incontrollata a vantaggio dei Paesi dell’Asia e del Terzo Mondo segnati da miracoli economici prodotti dai bassi costi di lavoro e dall’esistenza di istituzioni non democratiche. Ma questo nuovo umanesimo consapevole del problema sociale non si risolve una semplice riproposizione dell’economia sociale di mercato, cioè del tentativo di coniugare l’esigenza della libertà e quella dell’eguaglianza all’interno dello stato sociale. Lo Stato del welfare e del benessere formatosi nel secondo dopoguerra nel mondo occidentale si è trasformato in uno Stato burocratico-assistenziale dove l’equilibrio tra i servizi assicurati al cittadino con le imposizioni imposte al cittadino stesso è saltato a esclusivo beneficio di uno Stato divenuto predatore. In queste condizioni l’umanesimo liberale si pone come obiettivo di rinnovare lo stato sociale tornando a puntare sul valore e sulla libertà dell’individuo finalmente affrancato dai pesi insopportabili di un eccesso di burocrazia oppressiva e di un’assistenza che non libera il lavoro ma condanna i nuovi proletari a rimanere tali all’insegna di un devastante pauperismo egualitario.

Questa indicazione non ha alcuna forma di astrattezza. Al contrario, rappresenta una sorta di preciso programma di governo fondato sulla certezza che solo innovando lo stato sociale attraverso la liberazione del cittadino da leggi-pastoie che mortificano il diritto al lavoro e riducendo la pressione fiscale che paralizza ogni forma di iniziativa non solo economica ma anche artistica e culturale, si può riuscire a ricreare lo slancio vitale individuale tipico del Rinascimento.

Aggiornato il 08 settembre 2017 alle ore 20:11