La sconfitta del giustizialismo giacobino

Il processo Mafia Capitale avrebbe dovuto dimostrare che ogni fenomeno di corruzione equivale al fenomeno mafioso. E, dunque, che la legislazione nata per combattere l’emergenza rappresentata dalla mafia va estesa all’emergenza costituita dalla corruzione.

La sentenza che ha comminato pene severe ai due personaggi principali del processo su Mafia Capitale, cioè a Massimo Carminati e a Salvatore Buzzi, ha stabilito l’esatto contrario di quanto avrebbe dovuto dimostrare secondo le aspettative di alcuni magistrati, di alcuni giornalisti e di alcune forze politiche. Il fenomeno della corruzione non rientra nella fattispecie dell’articolo 416 bis, cioè non si identifica con il fenomeno mafioso. Ha caratteristiche diverse e a causa di questa diversità deve essere combattuto con strumenti diversi da quelli emergenziali previsti dalla legislazione antimafia.

In questa luce parlare di sconfitta della Procura di Roma è estremamente riduttivo. Perché a perdere non è stato il Procuratore Giuseppe Pignatone, che ha svolto il proprio compito rimanendo sempre nell’ambito delle norme e della correttezza, ma sono stati tutti quelli che puntavano sulla vicenda giudiziaria romana per conseguire l’ambizioso obiettivo politico di trasformare la corruzione in una emergenza identica a quella passata del terrorismo e a quella presente della mafia. Il tutto nella convinzione di derivazione giacobina che solo attraverso una grande repressione si può riportare la virtù un una società degradata come quella italiana.

La posta in palio del processo Mafia Capitale, dunque, non era la sorte di Carminati, Buzzi e tangentari e mazzettari vari. Ma era la svolta autoritaria ispirata alla cultura del giustizialismo che si sarebbe realizzata nel Paese attraverso l’estensione della legislazione emergenziale a ogni fenomeno sociale e a ogni comparto, anche il più minimo, della società nazionale.

Il proposito di combattere la corruzione in nome della virtù è sicuramente sacrosanto. Ma l’idea che solo con il ricorso all’autoritarismo repressivo si possa raggiungere l’obiettivo è totalmente nefasta. Le scorciatoie di stampo autoritario possono favorire successi immediati, ma distorcono in maniera irreversibile il sistema della democrazia liberale producendo nel tempo, paradossalmente, il proliferare dei fenomeni che a parole vorrebbe eliminare, cioè la corruzione, la mafia, la criminalità, la violenza.

Aggiornato il 24 luglio 2017 alle ore 10:39