Legge elettorale: la politica sull’ottovolante

Sulla legge elettorale si comincia a fare sul serio. L’altra sera la conferenza dei capigruppo alla Camera dei deputati ha deciso di dare più tempo alla discussione. La proposta di legge approderà all’esame dell’Aula il 5 giugno prossimo e non più, come avrebbero voluto i “Dem”, il 29 maggio.

Il testo base dal quale partirà il confronto sarà quello elaborato dal Partito Democratico e ribattezzato “Rosatellum”, dalla versione latinizzata del cognome del capogruppo del Pd, Ettore Rosato. Cosa prevede? Sostanzialmente si tratta di un “Mattarellum” mitigato in senso proporzionale. Quindi, un sistema maggioritario che, tuttavia, varrebbe per il 50 per cento dei seggi. La restante quota invece verrebbe aggiudicata sulla base di un meccanismo proporzionale. Senza entrare nello specifico della proposta, i tratti salienti del nuovo impianto sono almeno tre: niente preferenze ma liste corte bloccate per la quota proporzionale; possibilità di aggregazioni in coalizioni nella parte maggioritaria; conferma della soglia di sbarramento al 5 per cento. Oltre al Pd, sono favorevoli alla proposta la Lega Nord e il gruppo di Ala che fa a capo a Denis Verdini.

In effetti, ancor prima di Rosato e compagni, a questo mix di maggioritario e proporzionale aveva già lavorato l’ex esponente di Forza Italia dando vita a un suo “Verdinellum”. Contrari tutti gli altri. Compreso Silvio Berlusconi il quale, al momento, sembrerebbe intenzionato a sostenere a oltranza il ritorno a un proporzionale puro. Ma, in politica, il condizionale è d’obbligo. Berlusconi si è pronunciato sull’onda di una convinzione che attende di essere verificata nelle urne agli inizi di giugno quando importanti realtà del Paese andranno al voto per le amministrative. Il timore del Cavaliere è che, in uno scenario tripolare, il maggioritario secco possa favorire l’affermazione del movimento grillino. Per il Paese sarebbe la rovina se vincesse una forza dichiaratamente anti-sistema. Sacrosanta preoccupazione, ma che presenta qualche controindicazione non trascurabile. La possibilità, con il proporzionale, di non avere una maggioranza certa all’indomani del voto sarebbe devastante per l’elettorato di centrodestra che chiede, innanzitutto, chiarezza di idee e di visione alla propria classe dirigente, senza cedimenti a innaturali pastrocchi. La prospettiva di assistere alla riedizione della stagione del “Patto del Nazareno” potrebbe determinare nuovamente una crisi di disaffezione nell’elettorato storicamente berlusconiano, proprio nel momento in cui Forza Italia dà segni di recupero di vitalità. A quel punto un insuccesso elettorale potrebbe non garantire i numeri anche a voler rifare la “Grosse Koalition” con il Pd.

In compenso, però, rischierebbe di spianare ai Cinque Stelle la strada per Palazzo Chigi. Il Grillo leader del partito più votato avrebbe dalla sua due opzioni, alternative tra loro, tra cui scegliere per far decollare un monocolore pentastellato: negoziare l’appoggio esterno al suo governo con la destra radicale del duo Salvini-Meloni, lasciata libera da qualsiasi vincolo di coalizione di centrodestra o rivolgersi alla sinistra-sinistra degli ex-Sel e dei fuoriusciti del Pd, sempre che quest’armata di rancorosi anti-renziani raccolga i voti sufficienti per garantirgli la maggioranza in Parlamento. La non infondatezza di un simile scenario da “sliding doors” potrebbe spingere Berlusconi a ripensare il suo “niet” al “Rosatellum”.

E non è detto che non sia già così, visto che uno dei suoi uomini più fidati, Giovanni Toti, il serafico governatore della regione Liguria, in un’intervista al “Corsera” di ieri lascia intuire che qualcosa in pentola stia bollendo se è vero che, sulla vicenda, dice: “La proposta del Pd non va bene nei toni e nel metodo, ma può essere un buon punto di inizio”. Tradotto dal politichese: “Sebbene Renzi resti inaffidabile, siamo pronti a ragionare su ciò che è stato messo in campo”.

Comunque sia, niente di definitivo accadrà prima del prossimo 11 giugno. Berlusconi, e non solo lui, dopo mesi di overdose da sondaggi vuole vederci chiaro su cosa uscirà dalle urne. Si conteranno i voti reali e si capirà se davvero questi Cinque Stelle devono far paura o sono un cane che abbaia ma non morde. E solo allora: Rien ne va plus.

Aggiornato il 20 maggio 2017 alle ore 17:03