Prodi, Renzi e il disegno dei patti leonini

Il problema non è se Matteo Renzi voglia essere escludente o inclusivo ma se sia disposto a stabilire accordi e compromessi con i compagni di strada o se concepisca ogni alleanza come un patto leonino a proprio vantaggio di dominus incontrastato.

L’interrogativo posto da Romano Prodi nasconde, ovviamente, la convinzione dell’ex Presidente del Consiglio che solo essendo inclusivo e disposto a trovare intese un leader può essere tale e riesce a creare un ampio schieramento di governo. Ma quanto pesa nella convinzione di Prodi la tradizione e la prassi della Prima Repubblica e della Seconda fondata sul bipolarismo plurale e quanto la sua evidente opposizione alla rottamazione fatta da Matteo Renzi di questa tradizione e di questa prassi puntando sulla democrazia plebiscitaria e autoritaria fondata sull’esclusività del leader?

La sensazione che Prodi sia l’espressione del passato modo di concepire la politica e che Renzi rimanga fermamente convinto di rappresentare il modo nuovo e più moderno è fin troppo evidente. Tra i due non ci può essere alcun tipo di conciliazione. Non per antipatia personale, ma per chiara e netta scelta ideologica. Il ché comporta due conseguenze evidenti. La prima è che l’area della sinistra composta dal Partito Democratico, dagli scissionisti e dalla galassia che fa capo a Giuliano Pisapia non ha alcuna possibilità di ricompattarsi ricostruendo, sia pure in maniera diversa e innovatrice, il vecchio schieramento dell’Ulivo. La seconda è che Matteo Renzi, fin troppo deciso a non tradire il suo nuovo modo di fare politica e perfettamente consapevole di non essere l’uomo adatto per raccogliere l’eredità di Romano Prodi, non rinuncerà in alcun modo all’idea di avere come missione quella di dare vita alla democrazia autoritaria fondata sul trionfo della propria leadership esclusiva e incontrastata.

La riprova è il suo tentativo di dare vita a una legge elettorale che ripristini in qualche modo il maggioritario e lo metta in condizione di strappare a Beppe Grillo e a Silvio Berlusconi il diritto, in quanto leader del partito maggioritario, di ricevere l’incarico di formare il governo della prossima legislatura. Con quella investitura è convinto di non aver bisogno di fare alleanze ma di avere la forza necessaria ad imporre patti leonini a chiunque. Anche a Prodi, a Pisapia e a Bersani.

Aggiornato il 19 maggio 2017 alle ore 18:56