Partito Democratico:   la frantumazione

È probabile che la decisione di Enrico Letta di sostenere la candidatura del ministro della Giustizia Andrea Orlando alla segreteria del Partito Democratico non sia in grado di fermare il ritorno alla guida del partito di Matteo Renzi. Letta ha credito ma non ha truppe. Come ha ampiamente dimostrato la brutale defenestrazione da Palazzo Chigi subita tre anni fa ad opera dello stesso Renzi. Ma la sua scelta lascia pensare che la battaglia in atto per la leadership del Pd sia destinata ad assumere la stessa caratteristica avuta nello scorso anno dallo scontro sul referendum per la riforma costituzionale. Quella della lotta di tutti contro uno. Che magari non riuscirà ad impedire all’“uno” di riprendersi il partito e di fare piazza pulita di tutti i suoi avversari vecchi e nuovi. Ma che nel tempo, anche in caso di nuova vittoria renziana, produrrà inevitabilmente delle conseguenze all’interno non solo del Pd ma anche della sinistra italiana e dell’intero panorama politico italiano.

Il tutti contro uno, come ha dimostrato la vicenda del referendum, non si può concludere con un qualche compromesso. Tanto meno con la ricomposizione dell’unità del partito come avviene nelle primarie dei democratici e dei repubblicani americani quando l’esito della battaglia per la leadership comporta l’automatica applicazione del principio del “tutti per uno”.

Il tutti contro uno, infatti, si conclude o con la resa a discrezione dei pendenti o con l’uscita dal partito di chi non accetta di consegnare la propria sopravvivenza politica nelle mani del vincitore. Chi cita le primarie vinte da Pier Luigi Bersani e perse da Matteo Renzi per sottolineare come un pericolo del genere sia da escludere, non mette in conto che da allora ad oggi si è verificato un tale incrudelimento nella dialettica interna del Pd e nei rapporti personali tra i suoi dirigenti da rendere impossibile un finale pacifico della lunga e tormentata fase congressuale del principale partito della sinistra italiana.

Se dovesse vincere Renzi, il richiamo degli scissionisti e della prospettiva di un nuovo Ulivo potrebbe diventare irresistibile per gli sconfitti. Se poi a vincere fosse Orlando (Michele Emiliano non è in alcun modo in partita), per Renzi diventerebbe impossibile restare in un organismo politico che lo avrebbe di fatto espulso per incompatibilità non solo politica ma anche antropologica. Le forze politiche concorrenti del Pd farebbero bene a prepararsi a fronteggiare uno scenario del genere. Che non è quello della vittoria di uno o dell’altro contendente, ma quello della frantumazione del principale partito della sinistra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57