La perversione fiscale dei governanti

Secondo notizie di stampa, studiosi di diversa estrazione hanno messo nero su bianco delle proposte miranti ad introdurre “le tasse legate all’età”, come felicemente le ha battezzate il Corriere della Sera. Alla base c’è l’idea perversa di discriminare i contribuenti secondo la data di nascita. Non so se si tratti di una novità assoluta nel mondo. In materia di tributi non si può mai dire, perché nel corso della storia i governanti hanno tassato tutto il tassabile, con una fantasia tanto incontenibile quanto imprevedibile. Ma in Italia, che pure conosce addirittura la tassa sull’ombra e la tassa sulla tassa, credo proprio di sì. Ed è l’ennesima prova che il Governo e di conseguenza l’Italia sono alla disperazione, sebbene (sebbene!) nell’ultimo anno le entrate fiscali siano aumentate del 3,3 per cento, superando i 450 miliardi.

Il Governo e di conseguenza l’Italia sono terrorizzati dal dover trovare 20 miliardi nel 2018 e 23 miliardi nel 2019 per scongiurare lo scatto delle cosiddette, eufemisticamente, clausole di salvaguardia, cioè l’aumento automatico dell’Iva verso aliquote repressive. Gli studiosi in questione provengono dagli ambienti accademici e governativi. Secondo le parole di uno di loro, “l’idea è di ancorare la pressione fiscale non solo al reddito ma anche all’età. A parità di reddito il giovane pagherebbe meno dell’anziano”.

Lo scopo di tale creativa innovazione fiscale non è, a quanto sembra, strettamente economico e tributario, ma morale e sociale, un aggettivo, quest’ultimo, che secondo un mio aforisma perverte il sostantivo nel suo contrario. Infatti, dichiara lo stesso studioso, “il nostro obiettivo è ridurre il disagio giovanile”. Nobile scopo perseguito con ignobile mezzo. Ed eccone il perché. Ma qui le strade si dividono. Lo studioso della Bocconi e del Pd pensa di accollare allo Stato la perdita di gettito, ovviamente con altre tasse e la solita lotta all’evasione. Gli studiosi della Luiss (della Luiss!) sono consapevoli che lo Stato è con l’acqua alla gola e quindi non può fare a meno delle entrate che perderebbe esonerando i giovani dall’imposta sul reddito oppure riducendogliela. Pertanto sono costretti ad inventarsi una compensazione: le imposte tolte ai giovani le caricano sui vecchi. Non più Enea porta sulle spalle Anchise, bensì il padre Anchise si accolla il figlio Enea. Accadrebbe dunque che un ottantenne, magari pensionato monoreddito a 20mila euro l’anno, pagherebbe più Irpef di un trentenne nelle stessa posizione tributaria. Dove siano la moralità e la socialità di una tale misura fiscale, sfugge. Già oggi gli anziani mantengono figli e nipoti loro. Devono mantenere pure gli altrui? Sergio Ricossa, un maestro degli economisti liberi e liberali, ripeteva che chiunque è capace di inventare nuove tasse, essendo facilissimo colpire alla cieca o con avvedutezza gl’inermi contribuenti. Per la verità Ricossa al “chiunque” aggiungeva un epiteto, parlando in generale. Agli escogitatori di tributi d’ogni epoca ed estrazione giova sempre ricordare il Maestro dei maestri in materia, il vecchio Adam Smith, secondo il quale “non c’è arte che il governo apprende prima, di quella di prosciugare il denaro dalle tasche del popolo”.

Infine, tali proposte fiscali, già irrazionali in sé, non passano neppure il vaglio di costituzionalità perché contrarie anche all’uguaglianza legale imposta dagli articoli 3 e 53 della Costituzione. Discriminano i cittadini proprio con riguardo al cardine della cittadinanza, cioè alla capacità contributiva degli individui, né più né meno dei “contributi di solidarietà” imposti ai soli redditi da pensione anziché a tutti i redditi personali.

Aggiornato il 14 giugno 2017 alle ore 18:40