Il rischio maggioritario senza i due poli

I nemici del proporzionale denunciano i danni provocati da un sistema che può provocare instabilità cronica e la diffusione incontrollabile del finanziamento illecito ai partiti con annesse corruzione e illegalità diffuse. I nemici del maggioritario replicano ricordando che i danni causati dal sistema dei premi di maggioranza alle coalizioni provocano la moltiplicazione dei gruppi e gruppetti parlamentari, la transumanza di massa di voltagabbana da un partito all’altro e, di conseguenza, l’esplosione del finanziamento illecito con il solito danno collaterale della corruzione e della illegalità diffuse.

Ma la disputa sul sistema migliore appare del tutto sterile se non si tiene conto del contesto in cui si svolge. All’avvio della Seconda Repubblica il contesto, provocato dal crollo della Prima e dalla spinta popolare a cambiare pagina, impose il maggioritario. Oggi lo stesso contesto spinge per il ritorno al proporzionale. E non perché nel frattempo il fallimento del maggioritario abbia riportato alla luce i presunti vantaggi del proporzionale ma, più semplicemente, perché le mutate condizioni politiche hanno provocato una frantumazione delle tradizionali coalizioni di governo della Seconda Repubblica che rende fatalmente automatico il ritorno al sistema dei primi decenni dell’Italia repubblicana.

Si illudono, infatti, quanti pensano che sia sufficiente dare vita a una legge elettorale contenente un premio di maggioranza alle coalizioni per rimettere in piedi il bipolarismo scomparso o creare le condizioni affinché dal tripolarismo si arrivi alla formazione di un governo stabile. Questa illusione si fonda sulla convinzione che fissata la soglia del premio di maggioranza al 40 per cento per le coalizioni, si ritorni automaticamente a dare vita a un polo di centrodestra e a uno di centrosinistra in grado di competere con quello grillino per la conquista del diritto a governare il Paese.

Esiste qualcuno in grado di garantire che basti il premio di maggioranza alla coalizione con il quaranta per cento per garantire la ricomposizione della sinistra italiana divisa tra Pd renziano (sempre che rimanga tale), scissionisti e ultra sinistre varie? E sul fronte opposto è ipotizzabile che un centrodestra diviso tra sovranisti populisti e liberal-riformisti possa ricompattarsi prima di conoscere dal voto popolare quali siano i reali rapporti di forza tra le diverse componenti?

Non c’è il rischio che nella frantumazione del centrosinistra e del centrodestra l’unica forza capace di presentarsi al Paese in grado di sperare nella quota quaranta per cento per conquistare il premio di maggioranza sia il Movimento di Beppe Grillo e dei suoi dilettanti allo sbaraglio?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57