La Bindi va alla guerra contro la Massoneria

La Commissione parlamentare Antimafia sequestra gli elenchi degli iscritti alla Massoneria. Se fosse una cosa seria bisognerebbe preoccuparsi per il futuro della nostra libertà. Ma, per fortuna, non lo è. Piuttosto, è il patetico tentativo di Rosy Bindi, una parlamentare che in passato ha avuto momenti di notorietà, di restare a galla. Quale modo migliore per sopravvivere in politica che quello di togliere dalla naftalina la solita inchiesta sulle logge segrete? Sarà pure vintage ma non passa mai di moda.

In queste ore, dunque, i militari della Guardia di finanza vengono distolti da ben più decisivi compiti per dedicarsi a spulciare, su ordine della signora Bindi, gli elenchi sequestrati nelle varie case massoniche allo scopo di scoprire chissà quali collegamenti tra frammassoni malandrini e criminali impenitenti. È tempo perso: lo sanno tutti. Lo sa la Bindi, lo sanno le forze dell’ordine incaricate del sequestro, lo sanno i magistrati delle vari direzioni distrettuali dell’antimafia che non c’è nulla, perché se vi fosse stato qualche collegamento interessante da indagare sarebbero intervenuti loro per primi. E lo sanno anche i venerabili Gran Maestri che si sono alternati alla sbarra in quella fantasiosa aula da “processo del lunedì” che è stata la Commissione antimafia negli ultimi anni.

La “pasionaria” appassita Rosy Bindi prova a mettere a profitto l’ultimo strapuntino della sua avventura in politica. Renzi, com’è noto, non la ama ed è improbabile che la voglia ricandidare al prossimo giro. Ma un incarico prestigioso da “riserva della Repubblica” ci potrebbe stare. Soprattutto se montasse a suo favore l’onda dell’attenzione mediatica. La Bindi è una vecchia volpe democristiana: sa bene che per non finire in pellicceria bisogna tenersi qualche asso nella manica da calare al momento opportuno. Disporre del nome, con squadra, compasso e grembiulino, di qualche politico o di qualche imprenditore organico agli ambienti di governo, da sputtanare in vista delle elezioni sarebbe un’ottima assicurazione per la vecchiaia. A questo serve il polverone sollevato sui mitici elenchi massonici. Il guaio è che, per facilitare uno sporco gioco di bassa cucina politica, si viola un caposaldo della democrazia: la libertà di associazione connessa al diritto alla protezione della privacy di ogni cittadino. Immaginate cosa accadrebbe se l’approccio poliziesco della Bindi dovesse diventare la regola. Pensate al caso dei furbetti del cartellino dell’ospedale Loreto Mare di Napoli. Alcuni dei coinvolti nell’inchiesta sono sindacalisti. Perché allora non imporre la pubblicazione degli elenchi di tutti gli iscritti al sindacato in Campania, nel presupposto che il comportamento illecito di un singolo possa avere nessi causali con l’appartenenza all’organizzazione sindacale? La responsabilità penale è personale: lo stabilisce la Costituzione. Ma il vertice della Commissione Antimafia lo ignora. Si punta a inaugurare una stagione di caccia alle streghe con i nomi di un manipolo di brave persone a fare da piccioni nel grande baraccone del tiro a bersaglio della libera stampa. Tra qualche giorno si apriranno le danze dell’“indovina-chi-c’è-in-loggia”. Sarà l’ennesimo buco nell’acqua come lo fu, a suo tempo, la genitrice di tutte le commissioni d’inchiesta sulla Massoneria: quella sulla P2. E come ugualmente lo fu la mega-indagine scatenata dall’allora Procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova. Centinaia di sequestri di documentazione in sedi massoniche e in appartamenti privati di tutta Italia, gente messa sotto torchio per ore e per giorni per confessare chissà quali oscuri segreti, arzilli ottuagenari scaraventati in piena notte giù dal proprio letto da plotoni di carabinieri inviati per trovare le prove del grande complotto.

Una gigantesca bolla di sapone: anni d’indagini e neanche uno straccio di rinvio a giudizio per nessuno, in compenso molte vite rovinate, carriere bruciate e famiglie distrutte: questa fu l’inchiesta “Cordova”. Oggi si rischia, nel silenzio compiacente della politica, il medesimo cattivo risultato solo per assecondare le smanie di una parlamentare disperata per l’oscuramento della sua stella. Questa è l’Italia delle macchiette, dove tutto è grave ma niente è serio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55