Lo sfregio non rimosso di “Mafia Capitale”

Ha avuto ragione Roberto Giachetti quando ha commentato l’archiviazione dell’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa mossa a Gianni Alemanno, Nicola Zingaretti e altre 113 persone sostenendo che la vicenda costituisce la conferma più clamorosa della necessità, in uno stato di diritto, di difendere la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva.

Ma questa ragione consola solo in parte Alemanno, Zingaretti e le 113 persone che per due anni di seguito sono state esposte al pubblico ludibrio e hanno avuto le esistenze stravolte da un’accusa rivelatasi infondata. Non consola affatto la città di Roma che attraverso l’indagine definita “Mafia Capitale” ha avuto l’immagine nazionale ed internazionale sfregiata e la vita amministrativa completamente distorta con la caduta della giunta Marino e l’elezione della giunta Raggi. Probabilmente suscita addirittura rabbia in quegli avvocati che la gogna mediatico-giudiziaria ha trasformato da difensori di alcuni indagati in complici mafiosi e dei propri clienti accusati di mafia. Ma, soprattutto, non tranquillizza affatto chi denunciava che l’operazione mediatico-giudiziaria definita “Mafia Capitale” sembrava essere rivolta a convincere l’opinione pubblica del Paese di combattere la corruzione dilagante estendendo la legislazione emergenziale antimafia a ogni forma di illegalità pubblica. Il tutto nella convinzione giacobina che solo il terrore possa estirpare il vizio, far trionfare la virtù e placare le pulsioni sempre più pressanti del populismo giustizialista.

È un bene, naturalmente, che a ridare l’onore perduto ad Alemanno, Zingaretti e le altre 113 persone, a smontare il teorema della Capitale non solo corrotta ma anche mafiosa e a dimostrare come le legislazioni emergenziali non vadano estese ed istituzionalizzate ma debbano rimanere legate all’emergenza, non sia stata una qualche campagna di stampa o qualche iniziativa politica. Ci ha pensato la magistratura. A dimostrazione che il famoso giudice di Berlino c’è anche dalle nostre parti e che lo stato di diritto non è stato ancora cancellato. Ma aspettare anni e anni prima che la verità e il diritto trionfino è inconcepibile. Perché l’accusa di mafia per Roma è caduta, ma il marchio è rimasto nell’immaginario collettivo. E quel marchio produce effetti dannosi e micidiali come una condanna. Chi paga per la giustizia obbligata dalla legge a essere lenta e per questi effetti? Solo la città e tutti i suoi abitanti!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57