Il fronte responsabile e quello dell’avventura

Sergio Mattarella è stato chiaro. Non si vota ad aprile. Ma solo dopo il pronunciamento della Corte costituzionale sull’Italicum, dopo che il Parlamento avrà approvato a larga maggioranza una nuova legge elettorale in grado di rendere compatibili i sistemi di elezione di Camera e Senato e dopo che il Governo Gentiloni avrà espletato i suoi impegni internazionali (il G7 di maggio a Taormina). Si potrà votare, dunque, in estate o in autunno.

L’indicazione ragionevole del Presidente della Repubblica annulla le frenesie di chi voleva andare alle elezioni immediatamente, con qualsiasi legge elettorale e magari anche con quello che potrà restare dell’Italicum dopo l’esame della Consulta. E pone le forze politiche di fronte a due esigenze diverse. La prima è che da oggi al voto il Paese va comunque governato e non abbandonato agli effetti perversi della crisi. La seconda è che la prossima campagna elettorale non sarà segnata dall’onda emotiva suscitata dal referendum, ma dai programmi e dagli indirizzi con cui i partiti si presenteranno alla verifica del corpo elettorale.

La prima esigenza impone senso di responsabilità. Il ché non è affatto banale come può sembrare. Perché la responsabilità è l’antitesi del “tanto peggio, tanto meglio”. E la scelta in suo favore comporta automaticamente le separazione netta da chi si pone sulla posizione opposta. La transizione verso il traguardo elettorale, quindi, è destinata ad essere una fase estremamente importante in cui si debbono delineare le posizioni ed i rapporti futuri tra le diverse forze politiche e vanno create le condizioni per gli equilibri della prossima legislatura.

Se, come tutto lascia pensare, i prossimi anni dovranno imporre la nascita di un fronte della responsabilità contrapposto a quello dell’avventurismo, le basi di questo fronte dovranno necessariamente nascere durante il periodo della transizione. Come di fatto già sta avvenendo sul fronte della difesa del Monte dei Paschi di Siena e delle banche e su quello della difesa di Mediaset dalle pretese colonizzatrici di Vivendi.

La seconda esigenza comporta invece un indispensabile chiarimento all’interno del centrodestra e del Partito Democratico. Le diverse componenti dell’area moderata debbono scegliere se diventare loro il perno portante del fronte della responsabilità e, quindi, creare una sorta di confederazione in grado di porsi come la principale candidata al governo del Paese o se separare definitivamente i propri destini scegliendo gli uni la via dell’opposizione permanente e gli altri quella della sponda minoritaria della sinistra di governo.

Nel Pd, a sua volta, l’equivoco della convivenza dei due partiti in uno va sciolto prima ancora del congresso a scadenza naturale. Matteo Renzi pensa di risolvere la questione usando i poteri di segretario per preparare liste elettorali destinate ad essere liste di proscrizione della minoranza. Quest’ultima spera di conservare la “ditta” spingendo Renzi a fare lui la scissione ed a creare un proprio partito. Ma è chiaro che l’equivoco è ancora irrisolto. E che con ogni probabilità a tagliare il nodo dovrà essere quella spada della responsabilità che deve scattare immediatamente se non si vuole che le elezioni si tengano in un Paese finito in coma irreversibile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07