Inaccettabile, indecorosa, oscena. Sono solo alcuni degli aggettivi che ci vengono in mente per descrivere la vera e propria catastrofe diplomatica del nostro governo sul caso dei marò, costretti a tornare in India alla fine di un balletto che ci ha ridicolizzati davanti agli occhi di tutto il mondo. La gestione della crisi è stata disastrosa fin dall’inizio, come abbiamo più volte sottolineato, ma nessuno si sarebbe meravigliato se, come accaduto a Natale, i nostri marò fossero tornati in India al termine della licenza concessa loro dal governo indiano, questa volta per votare. Invece, per bocca del ministro Terzi, qualche giorno fa il nostro governo annunciava che questa volta non sarebbero tornati, sarebbero rimasti in Italia, perché l’India viola «gli obblighi di diritto internazionale», scatenando l’ira di Nuova Delhi. Una brutta figura, perché per far valere i suoi diritti l’Italia aveva dovuto ancora una volta dar prova della propria inaffidabilità.
Ma almeno i marò erano salvi. Una svolta che si è dimostrata scellerata, però, quando è apparso evidente che non era stata adeguatamente preparata, né sul piano legale né dal punto di vista diplomatico e politico. Tanto che ci siamo fatti trovare del tutto impreparati e scoperti dalla dura rappresaglia delle autorità indiane, che non hanno esitato a violare l’immunità diplomatica del nostro ambasciatore a Nuova Delhi (roba che nemmeno durante la Guerra Fredda!). Nemmeno l’Unione europea – a riprova della sua totale nullità politica – ha preso posizione a nostro favore tramite l’insignificante e patetica baronessa Catherine Ashton, né ci siamo preoccupati di avere al nostro fianco qualche potenza nel prevedibile braccio di ferro con l’India che ne sarebbe seguito. Temendo l’isolamento e una grave rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con Nuova Delhi, il governo italiano alla fine si è di nuovo calato le brache, tornando sulla propria decisione e ordinando ai marò di tornare in India, dove è facile immaginare che troveranno un clima molto più ostile e autorità molto meno ben disposte nei loro confronti dopo lo scherzetto di questi giorni. Insomma, se prima dell’incidente potevamo confidare in un giudizio positivo sulla giurisdizione, ora difficilmente la Corte suprema indiana mollerà l’osso.
Ma questo non è solo uno smacco senza precedenti per l’immagine e lo status internazionale del nostro paese. Non abbiamo solo perso una prova di forza a cui era prevedibile che gli indiani ci avrebbero sottoposti. E’ una prova di incompetenza – non la prima – e di viltà tali da parte di un governo che si definisce “tecnico” da lasciarci semplicemente sbigottiti e infuriati. Surreale e ai limiti dell’insulto alla nostra intelligenza le parole di De Mistura sulle rassicurazioni indiane: i nostri marò comunque non rischieranno la pena di morte. Ne abbiamo viste di tutti i colori, si può dire tutto il peggio dei governi precedenti, ma probabilmente mai il cinismo e la meschinità di cui hanno dato prova il premier Monti, il ministro Terzi e tutti gli altri responsabili di questa vergognosa vicenda. Dovrebbero tutti abbandonare subito ogni incarico: da Monti a Terzi fino all’ultimo dei ministri, dei funzionari e dei diplomatici coinvolti, passando per De Mistura. Una commissione parlamentare di inchiesta andrebbe istituita per far luce su circostanze e responsabilità di tutta la vicenda, fin dal suo inizio. Ha disonorato la Repubblica, umiliato gli italiani, giocato con la vita dei due marò: per questo Monti dovrebbe dimettersi anche da senatore a vita.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:39