Almeno due le esagerazioni ricorrenti nelle analisi post-voto siciliano. Il movimento di Grillo ha dimostrato di sapersi imporre come terza o quarta forza, con percentuali a doppia cifra, non solo in elezioni cittadine ma anche regionali, e non solo al centro-nord ma anche nel profondo sud. Insomma, oltre ai sondaggi che lo accreditano come movimento nazionale intorno al 15%, da oggi abbiamo anche un voto vero.
Non è poco, ma è esagerato parlare di «boom» o «primo partito» in Sicilia: alle regionali i numeri dei partiti sono distorti dal gioco delle liste civiche/personali dei candidati, e Cancelleri è arrivato a malapena terzo, staccato di oltre 7 punti dal secondo. In condizioni ottimali – classe politica locale screditata, debolezza dei candidati, crisi dei partiti tradizionali e frammentazione – non ha sfondato, gli elettori non hanno visto nemmeno nel M5S una valida alternativa all’astensione.
Un azzardo, poi, proiettare il voto in Sicilia sul piano nazionale. A prescindere dalle specificità dell’isola, alle politiche mancano ancora sei mesi in cui possono mutare molte variabili: la legge elettorale (bisognerà valutare il grado di correzione in senso maggioritario della nuova legge, ma non si può escludere che voteremo di nuovo con il porcellum); le primarie, che potrebbero dare almeno l’impressione di un certo rinnovamento e grado di apertura dei vecchi partiti, quindi ridar loro un certo slancio; e infine le alleanze e i candidati premier.
Anche sull’astensionismo prevale una lettura eccessivamente pessimistica. Può essere infatti una cattiva notizia, perché una ridotta partecipazione aumenta il rischio di derive populiste e ingovernabilità; ma anche buona, visto che non mancano offerte politiche populiste, che fanno leva sull’indignazione e il disgusto anti-casta, eppure il grosso dell’elettorato non sembra ancora essersi fatto sedurre. Che gli italiani siano più maturi di quanto pensiamo e non si accontentino di un voto di protesta, ma siano ancora in attesa di una credibile proposta di governo?
Uno dei messaggi, per ora trascurato, che giunge dalla Sicilia è che l’astensionismo e il voto a Grillo non premiano il cambiamento, ma le coalizioni guidate dal Pd. Come cambierà l’atteggiamento degli elettori, soprattutto dei delusi dal centrodestra, quando in prossimità delle politiche apparirà chiaro che...
astenendosi o votando Grillo il rischio è di ritrovarsi con Bersani e Vendola a Palazzo Chigi?Certo, astensionismo, frammentazione e avanzata di Grillo è un cocktail che rende concreto anche il rischio ingovernabilità, e quindi automaticamente più probabile l’ipotesi Monti-bis.
Se davvero dalle urne uscisse un quadro simile a quello siciliano, le condizioni sarebbero ideali per il ritorno del prof. a Palazzo Chigi, ma siamo sicuri che riuscirebbe a governare con un Parlamento balcanizzato, ancor più instabile dell’attuale – con il Pd in preda a sindrome da vittoria scippata, un centro leale ma minoritario, un centrodestra frammentato e rancoroso, e la pressione di consistenti forze anti-sistema?
Il voto siciliano, osserva Giuliano Cazzola, «carica di responsabilità non solo i partiti, ma anche il premier Monti, il quale deve decidere se vuole entrare nella storia come Facta, il cui governo fu travolto dalla marcia su Roma del 1922, oppure come De Gasperi, che nel ‘48 riuscì a sconfiggere il Fronte popolare». Posto che Monti abbia in mente l’“agenda” per il paese di cui tanto si parla, puntare su un esito “siciliano” del voto nazionale sarebbe come scherzare col fuoco sulla testa degli italiani. La via più trasparente, e responsabile, per non rischiare uno scenario greco, è quella dell’impegno esplicito.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:30