La dura polemica dello scorso week end tra Monti e Squinzi è uno specchio della farsa italiana, di cui i due si dimostrano interpreti all’altezza. Da una parte, abbiamo un numero uno di Confindustria che anziché difendere i primi, timidi tagli alla spesa pubblica, parla come il leader della Cgil. Peggio ancora, si contraddice pur di accattivarsi le simpatie di una platea di sindacalisti e della segretaria Camusso.
Il giorno prima aveva commentato il decreto del governo parlando di «un primo passo nella direzione giusta», ma anche della necessità di «andare avanti con maggiore decisione»; il giorno dopo paventa il rischio, da evitare, di una «macelleria sociale», apre all’ipotesi di una tassa patrimoniale e si dice d’accordo su tutto con la Camusso. Una schizofrenia che nella migliore delle ipotesi può essere spiegata con l’inesperienza, con una certa ingenuità nella comunicazione. Ad ogni modo Squinzi la paga: fin troppo facile, infatti, per il premier metterlo in fuorigioco agli occhi di alcuni suoi autorevoli colleghi industriali, i quali nel giro di poche ore si dissociano dalle sue parole, isolandolo e costringendolo, ieri, a correggere il tiro.
Nei “taglietti” della spending review non c’è affatto il rischio di una “macelleria sociale”, semmai l’opposto, dello status quo, e nell’atteggiamento di Squinzi nei confronti della Cgil s’intravede la ricerca di un quieto vivere, di un modello consociativo tra Confindustria e sindacati i cui costi sociali e fiscali storicamente sono stati scaricati sulle spalle dei contribuenti.
Dall’altra, abbiamo un presidente del Consiglio insofferente alle critiche, soprattutto a quelle dei suoi colleghi economisti (come Alesina e Giavazzi) e a quelle confindustriali. Il voto insufficiente (tra il 5 e il 6) assegnato da Squinzi, il riferimento alla «macelleria sociale», sono solo le ultime uscite che il premier non ha digerito. All’inizio fu l’intervista al Financial Times in cui Emma Marcegaglia definì «pessima» la riforma del lavoro. Poi, ci ha pensato lo stesso Squinzi a rincarare la dose, bollandola come una «boiata». Quindi, le stime della serie “ok, panico” sul Pil nel 2012 diffuse dal Centro studi di Confindustria proprio alla vigilia del “decisivo” vertice europeo del 29 giugno.
Come brucia a Monti che alla prova dei fatti le sue previsioni si stiano rivelando più da politico (quindi eccessivamente ottimistiche) che da economista! Nel documento governativo di economia e finanza, approvato non un secolo fa ma ad aprile, il Pil veniva stimato in calo dell’1,2%, mentre ormai appare sempre più che chiaro che viaggia verso il -3% (-2,4% la stima di Confindustria).
In teoria è un tecnico, ma alle critiche Monti mostra di reagire da puro politico, anzi da politicante. Sostenere che certe dichiarazioni «fanno aumentare lo spread e i tassi d’interesse» non solo è discutibile nel merito, ma significa bollare chiunque osi criticare l’operato del governo come traditore della patria, echeggiando lo storico motto fascista “Tacete! Il nemico vi ascolta”. Esattamente lo stesso fallo di reazione che veniva rimproverato all’ex premier Berlusconi, quando puntava l’indice sull’opposizione e la stampa “anti-italiane”. Con l’aggravante che Monti non viene provocato tutti i giorni da una campagna mediatico-giudiziaria senza scrupoli volta a demolire l’immagine del capo del governo e delle istituzioni. Al contrario, i grandi giornali fanno a gara per accorrere in suo aiuto. Però dovrebbero mettersi d’accordo con loro stessi: contro Berlusconi un diritto di critica da difendere, anche se dannoso per l’immagine del paese, e contro Monti un “fuoco amico” da condannare?
Qualsiasi alibi è buono per Monti: la scarsa credibilità dei meccanismi anti-crisi messi in campo dall’Eurozona; l’incertezza che avvertono i mercati riguardo gli scenari della politica italiana dopo le elezioni del 2013; le affermazioni «inappropriate» di alcuni paesi del Nord Europa (Finlandia e Olanda) che «hanno avuto l’effetto di ridurre la credibilità delle decisioni prese a Bruxelles»; e, ovviamente, le dichiarazioni come quelle di Squinzi nel dibattito interno. Tutto serve a spiegare il livello ancora troppo elevato, insostenibile, dello spread e dei tassi d’interesse, tranne l’azione di governo, tranne che forse l’Italia non ha ancora fatto i suoi “compiti a casa”, nonostante i “tecnici” siano in carica ormai da 9 mesi.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:30