Un appello al mondo politico e giornalistico: bandire il termine
"moderati" dal dibattito politico. Uno degli orrori lessicali che
la decadenza della politica italiana ha prodotto negli ultimi anni
è proprio la parola "moderati", con la quale ormai si indica la
composita area del centro-centrodestra. Non c'è esponente politico
o partito di quell'area - su tutti Udc e Pdl - che non proclami
come obiettivo quello di «riunire i moderati». E non perdono
occasione per ribadirlo ossessivamente. Anzi, è aperta una vera e
propria lotta senza esclusione di colpi tra i partiti e i leader
che ambiscono ad intestarsi la titolarità e la guida
dell'operazione.
Probabilmente mai nella storia della dottrina politica una
definizione fu così vuota di significato. Cosa si dovrebbe
intendere per "moderati"? Forse moderati nei toni, quindi come
sinonimo di pacati? Dal momento che tesi estremiste e
diametralmente opposte tra di loro si possono sostenere con modi e
toni pacatissimi, sarebbe surreale solo ipotizzare di riunire nella
stessa casa politica tutti i pacati nei toni. Dunque, si deve
suppore che per moderati si intendano coloro che avanzano proposte
politiche "moderate". Ma anche in questo senso andrebbe specificato
un termine di relazione: moderate rispetto a cosa? Cambiamenti
moderati rispetto allo status quo? Proposte moderate rispetto a
quelle degli altri soggetti presenti nell'arena politica?
L'unica definizione che sembra avere una logica è quella di
"moderati" come una sorta di "via di mezzo", come sinonimo di
"centristi": coloro che si pongono politicamente al centro,
equidistanti, rispetto a una destra e ad una sinistra, e tra
qualsiasi istanza di cambiamento e lo status quo. Se è così,
possiamo già arrivare a due conclusioni: in Italia il termine
soffre di un evidente strabismo, perché viene usato per indicare
un'area che va dal centro al centrodestra, escludendo solo una
ristrettissima area della destra. Inoltre, soprattutto negli anni
di crisi profonda che viviamo avrebbe poco senso sostenere che
abbiamo bisogno di cambiamenti "moderati". Tutte le evidenze
sembrano dimostrare che al contrario il nostro Paese abbia bisogno
di cambiamenti drastici, altro che moderati! Cosa pensano in
proposito i nostri moderati?
In un'epoca in cui è sempre più difficile affidarsi alle categorie
destra-sinistra per interpretare la nostra realtà politica, lo è a
maggior ragione definire una via di mezzo tra di esse. Più che
destra-sinistra la dicotomia "più Stato-meno Stato" sembra più
idonea a identificare la visione distintiva delle diverse proposte
che si muovono nel panorama politico. E nella gestione di due
fondamentali variabili di finanza pubblica e politica economica, in
Italia, storicamente, coloro che si definiscono "moderati" si sono
rivelati degli estremisti: estremisti della spesa pubblica e della
tassazione.
La sgradevole sensazione che ci assale di fronte all'abuso del
termine "moderati", al moltiplicarsi delle alchimie politiche per
dar vita a sempre nuovi contenitori per riunirli sotto un unico
tetto politico, e agli spazi mediatici che queste operazioni
occupano, è che si tratti di dissimulare uno spaventoso vuoto di
contenuti ideali e programmatici. Un termine dietro il quale si
nasconde abilmente un ceto politico malato di indecisione,
immobilismo e opportunismo.
La centralità nello schieramento politico non ha così lo scopo di
"moderare" le diverse istanze, ma di mantenere per sé una rendita
di posizione, e di potere, derivante dall'arte del compromesso "a
prescindere". Tale strumentalità nell'uso del termine "moderati" è
accentuata da un'anomalia prettamente italiana. Nei sistemi
politici occidentali, proporzionali o maggioritari, esistono i
"moderati", i centristi. Ma si tratta di aree e singole personalità
che convivono all'interno delle grandi forze politiche del Paese,
una di centrodestra e una di centrosinistra; che ne moderano le
proposte; che svolgono la funzione di spingerle a sfidarsi per la
conquista del centro dell'elettorato, cioè degli elettori meno
schierati e meno ideologici. L'ossessione dei nostri moderati,
invece, è costituire un presidio partitico in cui il centro
dell'elettorato possa stabilmente riconoscersi, per godere di una
specie di delega in bianco e restare sempre al governo.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:32