
Milton Friedman, premio Nobel del 1976 per l’Economia, è stato un grande costruttore del liberismo non ideologico e non “protettivo” quanto il welfare demagogico che oggi trova echi illogici nella declinazione (cioè: azione di declino) di Movimento 5 stelle e schleinisti. L’economista della scuola di Chicago sosteneva tra l’altro che il libero mercato è la sola chiave per dare chances agli esclusi dal capitalismo tradizionale. Riguardo alle tariffe sull’import di merci, Friedman dice: “Definiamo i dazi come una misura protettiva. Protegge... protegge molto bene il consumatore da una cosa. Lo protegge dai prezzi bassi”. Ovvero l’interventismo protezionista crea inflazione, dato che ogni opera demagogica della peggiore politica fognaria si scarica nel mare dei consumatori finali e viene pagato da tutti indistintamente, nonostante la tassazione scalare.
Dico questo perché stamattina ho comprato il pane. Dico questo perché qualche anno fa la mia amica R.G. (di sinistra), di ritorno da un viaggio in Etiopia mi disse: “Ho visto ragazzine che andavano a lavorare in una fabbrichetta per un euro al giorno. Prima pensavo che fosse una cosa infame. Ma lì ho capito che per lei e la sua famiglia, quell’euro era oro”. Anche chi qui scrive a 16 anni ha lavorato per 55 ore alla settimana a portare bombole e pulire elettrodomestici in esposizione, e la paga era l’equivalente di 70 centesimi di oggi per ogni giorno di lavoro. Friedman, in anni in cui nel mondo impazzavano comunismo reale, socialdemocrazie e berlinguerismi pseudo riformatori, parlava davanti a folle di studenti attenti e plaudenti. Questo mentre in Italia i suoi testi venivano bruciati nel rogo della non pubblicazione e le sue parole venivano scomunicate dalla Malsanta Inquisizione di stampa e politica, così come avveniva al premio Nobel (1974) Friedrich von Hayek. Eppure il libero mercato di Friedman proponeva la liberazione dalla povertà per mezzo dell’arricchimento generalizzato, non la liberazione della povertà in salsa sovietica, cubana o venezuelana.
Il Terzo mondo è cresciuto in tre decenni come mai prima, grazie al binomio industria e libero mercato. Il caso della Cina è esemplare. Nonostante una ferocia statale che si inarca dal peggio del comunismo al peggio del nazifascismo, l’apertura di industrie e tecnologie ha permesso a una Nazione, ancora preistorica negli anni della grande carestia, di diventare la seconda o terza potenza mondiale, a costo di lavoratori molto spesso costretti a dormire in fabbrica e di altre amenità “democratiche” applicate dal Pcc. Questi chiarimenti fanno capire perché Elon Musk, che si dimetta oppure no, ha citato Milton Friedman in un suo post su X. Si tratta di un video in cui l’economista fa l’esempio di una matita, realizzata negli Usa con parti provenienti da diverse Nazioni.
L’Istituto Bruno Leoni, ricordando quel video, pensa a come Apple potrebbe costruire in poco tempo una catena di produzione per gli iPhone, e a quale prezzo li dovrebbe vendere. L’Istituto Bruno Leoni nota che La Repubblica mette sul suo sito il video dell’odiatissimo Milton Friedman sulla matita: “Ne siamo felici: ma sono le stesse persone che, negli anni passati, si sono sistematicamente opposte a ogni forma di liberalizzazione dell’economia o a ogni proposta di trattato di libero scambio (vedi quello tra Ue e Usa, Canada e Messico, ndr.). Fa piacere osservare la classe politica europea intonare il coro del libero scambio. Sarebbe auspicabile non si cambiasse repentinamente spartito, la prossima volta che una lobby italiana o europea domanda dazi e protezioni contro qualche concorrente internazionale sgradito”. Vedi agricoltori francesi. Musk ha poi rincarato la dose dando dell’idiota al consigliere economico di Trump. Se questo non è un divorzio non lo fu nemmeno quello di Jeff Bezos dalla moglie, costato al tycoon 38 miliardi e il 35 per cento delle azioni Amazon.
SARANNO I FONDI E GLI INDUSTRIALI AMERICANI A FERMARE IL PROTEZIONISMO DI DONALD TRUMP?
La sezione italiana dell’Istituto Friedman “Esprime la propria decisa opposizione ai dazi introdotti dall’Amministrazione americana e alle previste contromisure degli altri Paesi. Sono infatti misure che contraddicono i principi del libero mercato tanto cari a Milton Friedman, nostro ispiratore, e che rischiano di compromettere la prosperità economica globale. Friedman sosteneva che la libertà economica è una condizione essenziale della libertà politica e che il commercio libero sia il mezzo più efficace per promuovere la pace e il benessere tra le Nazioni”. Non si tratta di fare i profeti. Il pragmatismo anglosassone e la rapidità con cui in quel mondo si prendono decisioni (grazie a una burocrazia non occlusiva) fanno pensare che – così continuando le cose – gli imprenditori e il mondo della finanza americana avranno pazienza ancora per poco tempo. I fondi di investimento statunitensi sono colossi cui si rivolgono i grandi investitori come decine di milioni di famiglie della middle class. Nessuno di loro vuole incertezza e rischi.
Imprese e settore finanziario potrebbero quindi spostarsi dal sostegno a una presa di distanza dal presidente Trump. È vero che gli Stati Uniti hanno da troppo tempo una bilancia commerciale passiva, pur detenendo il monopolio nei settori militare, spaziale e digitale (Ia, software, telefonia, i social, le telecomunicazioni). Ma coi dazi non si risolve il problema, e così continuando Trump rischia di scavare un buco nell’acqua. Sarebbe preferibile pensare (non solo negli Usa) a un piano di reindustrializzazione che contrasti la politica di dumping totale di Cina e altri esportatori del Sud-est asiatico. Sarebbe complicato come avere la botte piena e la moglie ubriaca, perché si dovrebbe utilizzare personale a basso costo (come in Messico), e insieme abbassare le tasse, per ottenere prodotti a prezzi concorrenziali. Lo si può fare nel campo digitale, aerospaziale e militare, ma non nella manifattura classica, inclusi auto, prodotti agricoli e acciaio. Però la scommessa per gli Usa è questa, non quella dei dazi come panacea del debito pubblico.
Così continuando Trump rischia anche un fall out politico, e questo avrebbe un costo maggiore di ogni dazio. Otterrebbe uno scollamento ulteriore della Ue, che diventerebbe Ug (Unione germanica, speriamo di no: mai seguire la deriva euroasiatica). Per questo motivo consiglio al presidente di leggere di più e sbagliare di meno. Oltre ai testi di Friedman, anche Mattino di Arthur Rimbaud, da Una stagione all’inferno: “Quando mai andremo, al di là del mare e dei monti, a salutare la nascita di un nuovo lavoro e di una nuova sapienza, quando scacceremo demoni e tiranni, quando avremo ottenuto la sconfitta della superstizione, solo allora potremo finalmente adorare il Natale sulla terra!”
Aggiornato il 09 aprile 2025 alle ore 11:06